Covid, esperti Sinpf: la solitudine ‘veleno’ per la mente

colpevole di 1 caso di depressione su 5. Studio su Nature Neuroscience

GEN 28, 2021 -

Roma, 28 gen. (askanews) – I contatti umani sono letteralmente cibo per il nostro cervello. E il cervello nella solitudine e nell’isolamento reagisce come quando abbiamo fame: si attivano le stesse aree e soffriamo come se fossimo privati di un sostentamento indispensabile alla vita. Lo dimostrano i dati di studi recenti discussi in occasione del XXII congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, in corso fino al 29 gennaio: la ‘fame’ di socialità connessa al distanziamento fisico e alle quarantene imposte per il contenimento del contagio da SARS-Cov-2 ha effetti diretti sul funzionamento del cervello, ma soprattutto conseguenze negative sul benessere mentale. L’indagine, pubblicata su Nature Neuroscience, è stata condotta su volontari rimasti a digiuno per dieci ore o deprivati di qualunque contatto umano, reale o virtuale, per altrettanto tempo; l’analisi del cervello con risonanza magnetica nucleare funzionale ha dimostrato che in entrambi i casi si attiva la substantia nigra, una piccola area cerebrale coinvolta nel desiderio di cibo e, quindi, anche di socialità. Un cervello privato dei contatti umani perciò soffre e la solitudine, infatti, è causa di un caso di depressione su 5: anche per questo gli esperti temono un incremento consistente del numero dei pazienti nel prossimo futuro. Già oggi, in circa 600 mila dei 3 milioni di persone con depressione, l’isolamento potrebbe essere il motivo scatenante o aggravante del disagio mentale.

“La solitudine è letteralmente veleno per la nostra salute: sappiamo infatti che indebolisce il sistema immunitario, favorisce la comparsa di molte malattie, ma soprattutto che compromette il benessere mentale – spiega Claudio Mencacci, co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano – . Abbiamo infatti un cervello sociale, che ha bisogno di contatti umani proprio come abbiamo necessità di cibo per vivere. Non si tratta di una metafora: uno studio pubblicato di recente su Nature Neuroscience ha dimostrato che nel cervello di chi è costretto all’isolamento prolungato si accendono le stesse aree che vengono attivate dalla fame di cibo, con effetti particolarmente evidenti in chi prima di ritrovarsi a lungo da solo aveva una vita piena di interazioni sociali soddisfacenti”.

“Avere interazioni sociali è una necessità umana di base, come nutrirsi: quando è a ‘digiuno’ del contatto con l’altro, il cervello soffre e lo desidera disperatamente – commenta Matteo Balestrieri, co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e professore ordinario di Psichiatria all’Università di Udine -. Purtroppo le regole di isolamento e distanziamento sociale imposte per contenere la pandemia di Covid-19 in corso stanno aumentando la solitudine, con effetti marcati proprio nelle fasce d’età che per motivi diversi tendono più spesso ad allontanarsi dal resto del mondo, gli anziani e gli adolescenti”.