Covid, “buone pratiche” nuove linee indirizzo su sanificazione

Finzi (ANMDO): applicarle per salto qualità lotta ad antibiotico resistenza e infezioni

DIC 15, 2020 -

Roma, 15 dic. (askanews) – Incentivare l’utilizzo di un sistema di sanificazione come il PCHS (Probiotic Cleaning Hygien System), innovativo rispetto ai metodi di pulizia tradizionali basati sui disinfettanti chimici, può fare la differenza. Sia nel contrasto alla diffusione delle infezioni che nel contenimento dei costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Un cambio di passo necessario e urgente – da effettuare alla luce delle nuove linee di indirizzo come buone pratiche clinico -assistenziali di recente pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità, che hanno definito i nuovi standard per le future procedure pubbliche per l’affidamento dei servizi di sanificazione -, per limitare il più possibile anche la diffusione del Coronavirus in questa fase di emergenza epidemiologica. È quanto emerso dal web congress “Covid-19 e sanificazione: le nuove linee di indirizzo come buona pratica clinico assistenziale”, organizzato da Zerodotfour, grazie alla presenza della Regione Friuli – Venezia Giulia, con il supporto non condizionato di Copma e Minerva Group.

A sottolineare subito l’importanza di sistemi di sanificazione innovativi, nella lotta contro l’antibiotico resistenza e la diffusione di infezioni, è stato il deputato Roberto Novelli, componente della Commissione Affari Sociali: “Il Covid ci ha detto chiaramente che il nostro sistema sanitario, che conserva ancora oggi molte delle qualità che lo hanno reso un modello nel mondo, ha bisogno di un tagliando. La lotta all’antibiotico resistenza è qualcosa che nella nostra agenda ha priorità assoluta. Dei 30 mila morti l’anno in Europa per le sue conseguenze, 10 mila, un terzo, si verificano nel nostro Paese. È un numero impressionante”. “Con il Covid abbiamo riscoperto l’importanza di alcuni comportamenti igienici fondamentali, e anche la sanificazione è tornata al centro dell’attenzione – ha rimarcato il parlamentare -. Avere sistemi innovativi che garantiscono strumenti più efficaci contro l’antibiotico resistenza diventa così fondamentale. Avere linee di indirizzo e buone pratiche che alzano l’asticella e chiedono misurazioni di efficacia è un passo avanti determinante di cui non possiamo non tenere conto. Adeguarsi, sanificare meglio gli ospedali, vuol dire salvare vite umane. Se come è emerso dagli studi presentati nel corso di questo appuntamento avviene anche con un risparmio di costi allora tanto meglio”.

A delineare le nuove Linee di indirizzo in materia, nel corso del web congress moderato dal giornalista Fabio Mazzeo, è stato Gianfranco Finzi, Presidente ANMDO (Associazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere): “Uno studio di tre anni, realizzato col contributo di numerose società scientifiche, ci ha consentito di stabilire le nuove linee di arrivare alle Linee di indirizzo sulla valutazione del processo di sanificazione ambientale nelle strutture ospedaliere e territoriali per il controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) pubblicate sul portale SNLG (Sistema Nazionale Linee Guida) dell’Istituto Superiore di Sanità all’interno della categoria ‘buone pratiche clinico-assistenziali’. Siamo riuscito a dare delle unità di misura e a stabilire quali i livelli da raggiungere e che devono essere rigorosamente misurati attraverso controlli microbiologici”. “La pubblicazione di queste linee di indirizzo – ha aggiunto – è in coerenza con la legge Gelli/Bianco e quindi ha effetti anche sulla responsabilità medica e le strutture lo devono sapere ed applicare se vogliamo praticare quel salto di qualità nella lotta all’antibiotico resistenza e alle infezioni a essa correlate. Credo non ci sia tempo da perdere, e credo debba essere verificato ogni risultato dei processi di sanificazione all’interno degli ospedali perché c’è in gioco la vita dei pazienti e la sicurezza degli operatori sanitari. Il Covid ci ha messo di fronte alla realtà e dobbiamo tenerne conto. C’è una sanità da riorganizzare e mi piacerebbe che la pandemia non fosse dimenticata dai decisori al momento di stabilire la quantità di risorse e il modo di spenderle per la Sanità che ha bisogno di un profondo tagliando e di innovazione”.

La dott.ssa Carla Rognoni (Università Bocconi di Milano), dal canto suo, ha puntato l’attenzione anche sull’importante risparmio economico: “I nostri studi non lasciano spazi a dubbi. L’utilizzo del sistema di sanificazione PCHS« consente risparmi che sono molto significativi. Il modello econometrico che abbiamo utilizzato ci dice che se sostituissimo col sistema innovativo il tradizionale modello di sanificazione i risparmi diretti ammonterebbero a 320 milioni di euro in 5 anni, cifra che stimiamo fino 457 milioni se calcoliamo i danni indiretti prodotti dalla resistenza agli antibiotici”.

A tracciare infine il quadro sanitario regionale in Friuli-Venezia Giulia, partendo dall’esperienza emergenziale del Covid-19, è stato Giuseppe Tonutti, Direttore generale dell’Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute (ARCS). “Come nelle altre Regioni, la pandemia ha messo in luce soprattutto le debolezze del sistema sanitario”, anche per la riduzione dei posti letto, secondo lo schema fino a quel momento seguito: “Si può fare di più anche se si ha di meno”. La fase emergenziale ha però fatto emergere la “fragilità” di una “organizzazione a filo” che sembrava reggere. “Tutti speriamo che nel 2021, grazie alla vaccinazione, si possa ricondurre la malattia ad essere gestibile per il Servizio Sanitario Nazionale”, ma adesso, ha rimarcato, “bisogna fare qualcosa di diverso, lavorare in modo differente anche sul personale”. La parola chiave dovrà essere “organicità” e non più occasionalità.

“Molto probabilmente verrà assegnato un finanziamento aggiuntivo alla Sanità, che dovrà tradursi però in un’attenta allocazione delle risorse. Gli ospedali hanno retto, non credo abbiano bisogno di altro, a non tenere è stato il territorio, con una mancanza ad esempio di degenza intermedia”, ha sottolineato ancora Tonutti. “Non si rivolve il problema aumentando i posti di terapia intensiva, ma attraverso un’organizzazione flessibile, capace nei periodi di normalità di affrontare l’attività e di permettere al personale, per uno-due mesi all’anno, di formarsi in altri settori, altrimenti ci troveremo continuamente impreparati ad affrontare situazioni emergenziali”, ha concluso.