Covid, Lombardozzi (Regione Lazio): vaccino da metà gennaio, sistema pronto

Webinar su come cambia la sanità, da organizzazione a superamento Rsa

DIC 11, 2020 -

Roma, 11 dic. (askanews) – La vaccinazione contro il Covid-19 sarà una “grande sfida” per il sistema sanitario, in Lazio la prima fornitura arriverà a metà gennaio e sono stati già individuati 20 centri per la conservazione. A spiegarlo è stata Lorella Lombardozzi, responsabile della Farmacovigilanza della Regione Lazio, nel corso del webinar ‘Il presente e il futuro della sanità che cambia, il Lazio”, organizzato da Koncept con il sostegno di Celgene – Bristol Myers Squibb Company.

“E’ – ha sottolineato – una grande sfida per il sistema sanitario, una vaccinazione di massa di questo livello con vaccini di cui ancora si sa poco. Ci troviamo, secondo gli studi pubblicati, di fronte a dei prodotti validi, di cui non sappiamo ancora molto per quanto riguarda la capacità di durata dell’immunizzazione ma che daranno una svolta alla lotta contro la pandemia”. Il primo che arriverà sarà quello Pfizer, “molto efficace ma con una difficoltà di organizzazione importante” per la necessità di conservarlo a temperature molto basse. “Nella Regione Lazio sono stati individuati i 20 centri in cui sarà consegnato il vaccino per poi essere somministrato. Per quelli successivi, con modalità più semplici di conservazione, saranno coinvolti i medici di famiglia e magari anche le farmacie. Dobbiamo arrivare probabilmente a vaccinare tutti quanto prima”.

Nel corso del webinar – moderato da Giulio Notturni, consulente comunicazione dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio – è stato fatto il punto sull’organizzazione del sistema sanitario e su come dovrà cambiare. Per Americo Cicchetti, professore ordinario di Organizzazione Sanitaria all’Università Cattolica, “abbiamo imparato che le pandemie si combattono sul territorio e al domicilio e non negli ospedali, che non riguardano solo la sanità ma diverse funzioni dello Stato e ci deve essere una compartecipazione, che la telemedicina non è un tabù e che il territorio rappresenta in molte zone un punto debole”. Però per il cambiamento servono risorse, ma “a fronte di un incremento del debito pubblico di 80 mld solo 5,5 sono destinati alla sanità e quindi abbiamo bisogno di nuove risorse. I 9 mld del Recovery sono troppo pochi”.

Pierpaola D’Alessandro, direttrice generale della Asl di Frosinone, ha portato la sua esperienza alla guida di una realtà di provincia. “Il Covid – ha detto – è stato anche una opportunità per attuare interventi rapidi e introdurre flessibilità operative che sono state subito accettate e comprese. Abbiamo abbattuto precedenti problemi organizzativi, sfruttando il momento adrenalinico e una occasione drammatica ha permesso di fare una esperienza ricca e innovativa”.

Non tutto, certo, è andato bene: “Ci sono stati – ha rilevato Teresa Petrangolini, direttore del Patient Advocacy Lab – problemi enormi per i malati cronici, i malati gravi, i malati oncologici ed è emersa la consapevolezza delle associazioni dei pazienti che l’unico modo è innovare. Sono state fatte cose che si volevano fare da sempre ma che non si facevano: la telemedicina, la semplificazione, i farmaci a domicilio. La Regione Lazio ha fatto una cosa innovativa, ha scommesso sulla partecipazione dei cittadini, creato un dialogo tra le associazioni dei cittadini (oggi sono 74) e le istituzioni. Ora bisogna riuscire ad avere una sintonia sul coinvolgimento delle associazioni con il lavoro che si fa nelle Asl, e quindi abbiamo deciso di creare dei network di collegamento tra la regione e le Asl”. Anche Sabrina Nardi di AIL l’Associazione italiana contro le leucemie, ha sottolineato il punto di vista dei pazienti. “Il primo bisogno è quello dell’orientamento e dell’informazione. Abbiamo organizzato incontri pazienti-medici per rispondere a richieste di informazioni e rassicurazioni e per beneficiare mutualmente delle informazioni necessarie. Abbiamo anche messo in atto servizi, come il supporto psicologico, ma soprattutto il servizio di assistenza domiciliare che è fondamentale”.

“Il tema – per Francesco Ripa di Meana, presidente Fiaso – è che il Paese non ha riserve strategiche, la Germania ha tre volte il nostro numero di terapie intensive, ma dobbiamo riuscire a non presentarsi alla fine della seconda ondata senza questa riserva”. Occorre dunque attrezzarsi con modelli flessibili, per garantire i servizi. Per quanto riguarda, per esempio, i pazienti onco-ematologici, “il sistema è stato tenuto fuori e le strutture hanno continuato ad agire, non ci siamo trovati in una situazione nel Lazio di file di pazienti non operati. Però la crisi degli screening oncologici è molto preoccupante perché tra un anno ci troveremo molte persone non screenate nel modo giusto”.