Dopo il sinodo Papa Francesco apre a un “rito amazzonico”

Fisichella spiegò che poteva contenere il tema dei preti sposati

DIC 2, 2020 -

Città del Vaticano, 2 dic. (askanews) – Papa Francesco coglie l’occasione di una prefazione al messale in rito zairese, l’unico rito inculturato della Chiesa latina approvato dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), per sottolineare che esso ‘suggerisce una via promettente anche per l’eventuale elaborazione di un rito amazzonico’, questione rimasta sospesa dopo il sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre 2019.

L’assemblea sinodale sulla regione panamozzonica si era conclusa con l’approvazione, da parte dei padri sinodali, di un documento finale che, nei suoi paragrafi conclusivi (116-119), suggeriva al Pontefice la ‘elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia, con particolare riferimento a quanto afferma la Lumen gentium per le Chiese orientali (cfr. LG 23). Questo si aggiungerebbe ai riti già presenti nella Chiesa, arricchendo l’opera di evangelizzazione, la capacità di esprimere la fede in una cultura propria, il senso di decentralizzazione e di collegialità che la cattolicità della Chiesa può esprimere’.

Nella Chiesa cattolica ci sono 23 diversi riti, frutto di una stratificazione avvenuta nello spazio e nel tempo: nati, cioè, in secoli diversi e in luoghi diversi per esprimere la specifica forma assunta dalla fede cattolica universale. I principali riti (o famiglie liturgiche) sono sei: latina, costantinopolitana (o bizantina), alessandrina, siriaca occidentale (o antiochena), siriaca orientale (o caldea) e armena. All’interno di ciascuna di queste famiglie, poi, ci sono altre sottospecie (basti pensare al fatto che in Italia la diocesi di Milano segue uno specifico rito ‘ambrosiano’, pur molto assimilato, nel corso degli anni, a quello romano). Quello zairese è il primo, e sinora ultimo, rito approvato dopo il Concilio vaticano II. E al sinoso amazzonico l’idea di uno specifico rito amazzonico emerse, nel corso delle discussioni, per tentare di quadrare il cerchio di una difficile discussione, che ha visto contrapposti coloro che propugnavano l’innovazione a coloro che temevano la fine dell’unità cattolica. A tenere banco, in particolare, è stato la proposta, approvata dall’assemblea, di ‘ordinare ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica’, i cosiddetti ‘viri probati’.

Nella esortazione apostolica sinodale che ha tratto da quell’esperienza, tuttavia, ‘Querida Amazonia’ (febbraio 2020), il Papa non ha raccolto le specifiche richieste dell’assemblea: né l’istituzione di un rito amazzonico, né tantomeno il tema dei preti sposati (o sarebbe più esatto dire degli sposi ‘pretati’), inammissibile per i settori conservatori. Introducendo la sua esortazione, il Papa aveva scritto: ‘Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo’. Dunque, le proposte assembleari non sono state archiviate: ma il fatto che non siano state fatte proprie dal romano Pontefice ha ingenerato nei settori cattolici progressisti, in particolare in America latina, una diffusa delusione.

Ora, però, il Papa rianoda i fili di quell’assemblea. Lo fa firmando la prefazione al libro dedicato al Messale Romano per le diocesi dello ‘Zaire’, dal 1971 al 1997 il nome della Repubblica Democratica del Congo. Il rito è un adattamento del Messale romano, frutto di un lungo cammino, auspicato dai vescovi del Paese fin degli anni ’60 del secolo scorso. Si caratterizza, tra l’altro, per la partecipazione attiva dell’assemblea con largo uso di musica e canti, per lo spazio dato alle litanie dei santi e per l’atto penitenziale collocato dopo l’omelia.

E nel volume volume ‘Papa Francesco e il Messale Romano per le diocesi dello Zaire’ (Libreria Editrice Vaticana, 228 pagine, 20 euro), curato da Rita Mboshu Kongo, Francesco ricorda che un anno fa, il primo dicembre 2019, prima domenica di Avvento, ‘abbiamo celebrato l’Eucaristia secondo il ‘Missel Romain pour les diocèses du Zaïre’, approvato dalla Congregazione per il Culto divino il 30 aprile 1988. Finora è l’unico rito inculturato della Chiesa latina approvato dopo il Concilio Vaticano II. Il rito zairese del Messale Romano è ritenuto come esempio di inculturazione liturgica. Si sente che nella celebrazione secondo il rito zairese vibra una cultura e una spiritualità animata da canti religiosi a ritmo africano, il suono dei tamburi e altri strumenti musicali che costituiscono un vero progresso nel radicamento del messaggio cristiano nell’anima congolese. Si tratta di una celebrazione gioiosa. È un vero luogo di incontro con Gesù’.

Nella sua prefazione, il Papa, citando sovente un’altra esortazione apostolica, Evnagelii Gaudium, documento programmatico di inizio pontificato, sottolinea che ‘liturgia deve toccare il cuore dei membri della Chiesa locale ed essere suggestiva. ‘Il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale’, bensì, ‘restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato’. Nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la propria cultura, la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità e mostra ‘la bellezza di questo volto pluriforme”.

‘Nell’inculturazione, la Chiesa ‘introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità’, perché ‘i valori e le forme positivi» che ogni cultura propone «arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso e vissuto’. E’ evidente che ogni popolo dopo avere fatto l’esperienza personale dell’incontro trasformante con Cristo, cerca di invocare Dio, che si è rivelato attraverso Gesù Cristo con le sue parole, con il suo linguaggio religioso, poetico, metaforico, simbolico e narrativo, poiché la preghiera rivolta a Dio comporta la grazia che trasforma l’esperienza umana in tutte queste dimensioni. E’ in questa dinamica che la Conferenza episcopale del Congo ha forgiato una personalità propria volendo pregare Dio, non per procura o con parole prese in prestito da altri, ma assumendo tutta la specificità spirituale e socio-culturale del popolo congolese, con le sue trasformazioni. Questo processo di inculturazione liturgica in Congo è un invito a valorizzare i diversi doni dello Spirito Santo, che sono una ricchezza per tutta l’umanità. Del resto, nell’esortazione apostolica postsinodale Querida Amazonia abbiamo detto esplicitamente di ‘raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. Già il concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni, ma sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione’. Il caso del rito zairese suggerisce una via promettente anche per l’eventuale elaborazione di un rito amazzonico, in quanto vengono recepite le esigenze culturali di una determinata area del contesto africano, senza stravolgere la natura del Messale Romano, a garanzia della continuità con la tradizione antica e universale della Chiesa. Speriamo che questo lavoro possa aiutare a camminare in questa direzione’.

Potrebbe allora riprendere una discussione che sembrava interrotta con la Querida Amazonia. Con molte implicazioni possibili. Spiegava a Vatican News mons. Rino Fisichella, tra i primi a proporre l’istituzione di un rito amazzonico, che ‘l’istituzione eventuale di un nuovo rito comporterebbe anche una condizione, forse, di ristrutturazione della stessa comunità che non necessariamente va a ripercorrere quella del rito latino. Il rito latino – non dimentichiamolo – sorge intorno al IV secolo ed è per una popolazione che ormai da 2000 anni circa vive di questa identità. Le popolazioni indigene, recentemente evangelizzate, hanno bisogno di una espressione della fede e della testimonianza che potrebbe avere, come in altri riti, il clero uxorato (ossia i preti sposati, ndr.) che è ugualmente presente accanto al clero celibatario; ovviamente dovrebbe avere anche una ministerialità che si apre alla promozione della donna. Ma sempre mantenendo fermo quello che è il tema della fede condivisa da tutti. Quindi, l’istituzione di un rito non è in contraddizione o in opposizione a quello che la Chiesa ha sempre creduto e sempre professato, e tutti hanno professato nella propria fede, ma viene ad essere invece un sostegno ulteriore per esprimere un’identità culturale differente’.