Caltanissetta, violenze e minacce nei campi: arrestati 11 caporali

Presa una banda di pakistani, coinvolti anche titolari di imprese

DIC 2, 2020 -

Roma, 2 dic. (askanews) – Con un’operazione chiamata “Attila”, polizia e carabinieri di Caltanissetta hanno arrestato nella notte 11 persone (10 pakistani in carcere e una 21enne italiana di Canicattì ai domiciliari: una dodicesima persona è ancora ricercata), accusate di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al reclutamento ed allo sfruttamento della manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi (caporalato), alle estorsioni, al sequestro di persona, alle rapine, alle lesioni aggravate, alle minacce, alla violazione di domicilio, alla violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.

Secondo gli inquirenti il gruppo, composto da pakistani, agiva con metodo paramafioso e aveva assoggettato la comunità di appartenenza, molto ampia a Caltanissetta, sottoponendola ad un regime di vessazione e terrore, sfruttandola professionalmente per assicurare all’associazione continuità nel tempo.

Proprio l’analisi della molteplicità di episodi di violenza riconducibili agli arrestati ha permesso di acclarare l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere, finalizzata ad imporre la propria egemonia sul territorio, acquisita dal protratto periodo di operatività e rafforzata dal costante ricorso a condotte minatorie e violente di elevatissimo allarme sociale.

Il gruppo, molto coeso e capeggiato da un indiscusso leader, aveva condizionato il settore agricolo dell’entroterra reclutando manodopera pakistana col metodo del caporalato.

I caporali pakistani destinavano i loro connazionali al lavoro a titolari di aziende agricole, in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, accordandosi sull’entità del compenso, che si aggirava sui 25/30 euro al giorno, direttamente con i datori di lavoro e trattenendo per sé una parte o persino la totalità del corrispettivo, già palesemente basso. Le timide rimostranze avanzate dai lavoratori per ottenere il compenso loro spettante venivano immediatamente represse attraverso efferate spedizioni punitive.

In questo desolante panorama, si inseriscono anche i titolari delle imprese dove i lavoratori pakistani venivano condotti a lavorare, poiché, dal canto loro, trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perché ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio in relazione alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori.

Le indagini di polizia e carabinieri hanno fatto luce su molti episodi di inaudita violenza posti in essere dal gruppo criminale come ad esempio l’aggressione nei confronti di una donna nigeriana mentre stringeva in braccio il figlio di appena un anno, rapinandola di 200 euro ed una violenta aggressione con calci e pugni al marito di lei.