Covid, studio italiano rivela: fino al 55% pazienti rischia malnutrizione

Sia i ricoverati che i gestiti a domicilio

NOV 4, 2020 -

Roma, 4 nov. (askanews) – Uno studio italiano appena pubblicato su Clinical Nutrition ha per primo rivelato che l’infezione da SARS-CoV-2 è associata ad una perdita di peso clinicamente significativa (55%) e ad un elevato rischio di malnutrizione (COVID-19 is associated with clinically significant weight loss and risk of malnutrition, independent of hospitalisation: a post-hoc analysis of a prospective cohort study).

“Non è solo il ricovero a rappresentare un fattore di rischio: anche i pazienti con forma lieve di COVID-19 che possono essere curati a casa sono a rischio di malnutrizione e perdita di peso, verosimilmente dovuta ad una perdita di massa magra. Le alterazioni dell’olfatto e del gusto, così come l’affaticamento e gli aspetti psicologici, sono sintomi prevalenti nei pazienti COVID-19 che possono influenzare negativamente l’assunzione di cibo. Il confinamento in casa può limitare l’attività fisica, portando alla perdita di massa magra e mettendo il paziente a rischio di ‘sarcopenia’, la riduzione di massa e forza muscolare, che può avere svariati effetti negativi. Anche la risposta infiammatoria sistemica tipica dell’infezione ha la potenzialità di provocare malnutrizione persino nei pazienti non ricoverati e trattati a domicilio”, spiega il Presidente della Società Italiana di Nutrizione Clinica e metabolismo-SINuC, Maurizio Muscaritoli: “Sino ad oggi non erano disponibili dati sull’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sullo stato nutrizionale, ma il recentissimo studio italiano ha colmato questo gap fornendo informazioni utili per trattare i pazienti anche dal punto di vista nutrizionale, in modo da favorire una prognosi migliore”.

Il team di ricercatori guidati da Caterina Conte, attualmente professoressa associata di Medicina Interna presso l’Università Telematica San Raffaele Roma, ha valutato l’incidenza della perdita di peso involontaria e della malnutrizione nei sopravvissuti a COVID-19 che erano stati ricoverati o gestiti a casa e rivalutati dopo la remissione clinica. Si tratta di un’ampia indagine osservazionale prospettica eseguita presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Sono stati inclusi pazienti adulti (età =18 anni) con diagnosi confermata di COVID-19 che erano stati dimessi e trasferiti a casa da un reparto di Medicina Interna o dal Pronto Soccorso dell’Ospedale dal 7 aprile all’11 maggio 2020.

Sulla base dei risultati del Mini Nutritional Assessment, il 54,7% e 6,6% dei pazienti era rispettivamente a rischio di malnutrizione o francamente malnutrito. Tutti i pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva erano a rischio di malnutrizione.

Circa il 30% dei pazienti studiati aveva perso più 5% del peso corporeo iniziale, con una riduzione mediana di 2.3 punti di indice di massa corporea (BMI). La percentuale di pazienti che aveva perso più del 10% del peso corporeo iniziale era simile tra i pazienti ricoverati e non ricoverati (9,6% contro 5,3%).

“Come suggerito dalla Società Europea di Nutrizione Clinica e Metabolismo (ESPEN), la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della malnutrizione dovrebbero essere considerati nella gestione dei pazienti COVID-19 per migliorare la prognosi sia a breve che a lungo termine” sottolinea Muscaritoli.

“La maggior parte dei dati pubblicati sugli effetti delle malattie acute sullo stato nutrizionale si riferiscono a pazienti in condizioni critiche. Diversi meccanismi possono contribuire alla perdita di peso e alla malnutrizione nei pazienti affetti da COVID-19, anche nelle forme non gravi. Confrontando i pazienti con o senza perdita di peso, il gruppo di ricercatori del San Raffaele di Milano ha scoperto che coloro che hanno perso peso avevano una maggiore infiammazione sistemica una peggiore funzione renale e durata della malattia più lunga. La durata della malattia, che riflette infiammazione e gravità, era in grado di predire la perdita di peso”, spiega Alessio Molfino, Professore Associato di Medicina Interna all’Università La Sapienza di Roma. “L’infiammazione sistemica acuta colpisce diverse vie metaboliche e ipotalamiche che contribuiscono all’anoressia e alla diminuzione dell’assunzione di cibo, nonché all’aumento del dispendio energetico a riposo e del catabolismo muscolare a cui si aggiungono risposte neuroinfiammatorie persistenti che possono perpetuare infiammazione e deperimento anche dopo la fase acuta” sottolinea. (segue)