Civiltà cattolica: messe sospese non è persecuzione religiosa

Lunedì riprendono ma la Chiesa non è mai stata chiusa

MAG 14, 2020 -

Città del Vaticano, 14 mag. (askanews) – “Il divieto delle assemblee, comprese le celebrazioni religiose, non deve normalmente essere inteso come discriminazione religiosa o addirittura persecuzione”. Lo scrive padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, in un articolo che esce sul prossimo numero del quindicinale dei gesuiti stampato con l’imprimatur della Segreteria di Stato: “Questo non ci sembra il momento per invocare una malintesa ‘disobbedienza civile'”.

“Le attuali restrizioni sono legali e accettabili dal punto di vista dei diritti umani”, scrive padre Spadaro. “Consideriamo che la protezione dei deboli e dei vulnerabili è un valore molto elevato anche dal punto di vista religioso, e quindi deve essere bilanciata con il bisogno di comunità e di aggregazione. I provvedimenti sono volti a salvaguardare la vita umana, sia dei credenti che degli altri membri della società. Dunque, è importante riconoscere che il divieto delle assemblee, comprese le celebrazioni religiose, non deve normalmente essere inteso come discriminazione religiosa o addirittura persecuzione. Tuttavia, tutte le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base giuridica, essere necessarie, adeguate, ragionevoli e generalmente proporzionate in relazione allo scopo che servono e al diritto che limitano. La minaccia del Covid-19, per quanto grave, non esonera governi e parlamenti da questi requisiti. Le voci della comunità giuridica e di diverse comunità religiose si sono chieste se tutte le misure del lockdown siano proporzionate. D’altra parte, l’urgenza e il pericolo hanno richiesto ai governi di prendere decisioni molto serie e di vasta portata con brevissimo preavviso, ponendo sulle loro spalle un carico enorme in termini di responsabilità. È il caso per l’Italia dei ‘Decreti del Presidente del Consiglio’ (Dpcm), atti amministrativi che non hanno forza di legge e che servono per dare attuazione a norme o varare regolamenti”.

La società, portatrice di diritti fondamentali, deve “essere consapevole che le attuali restrizioni servono principalmente all’imperativo morale di proteggere le vite umane e non sono utilizzate per altri scopi politici, tranne in pochi deplorevoli casi. Se negli Stati democratici è sempre necessario mettere in discussione e controllare da vicino le azioni del governo, soprattutto quando limitano i diritti fondamentali, questo non ci sembra il momento per invocare una malintesa ‘disobbedienza civile'”, scrive ancora il gesuita.

“Sottovalutare le indicazioni dell’autorità sanitaria significherebbe essere irresponsabili. E’ invece fondamentale che siano messe a disposizione dai governi misure ad hoc che permettano ai fedeli di partecipare al culto in condizioni di sicurezza sulla base dell’evoluzione della curva epidemiologica. Non si devono assolutamente trascurare le esigenze spirituali delle comunità religiose che, con i loro valori, contribuiscono a garantire la tenuta e la coesione sociale”, sottolinea Civiltà cattolica. “In particolare, in Italia, dal 18 maggio nelle chiese cattoliche riprendono le celebrazioni liturgiche con il popolo nel rispetto delle normative sanitarie. La decisione è frutto di un Protocollo sottoscritto dal presidente del Consiglio, il presidente della Conferenza episcopale italiana e il ministro degli Interni”, conclude il quindicinale dei gesuiti. “Analoghi impegni sono stati assunti con le altre Confessioni religiose. Per ciò che riguarda le Chiese cristiane, è sempre importante considerare che il culto e l’azione pastorale sono pure vissute, come possibile, anche in condizione di lockdown. La Chiesa, se davvero è tale, non è mai ‘chiusa’”.