Valente: Museo Madre oltrepassa traguardo dei 100.000 visitatori

"Un museo deve essere identificativo, come un'impronta digitale"

SET 5, 2019 -

Napoli, 5 set. (askanews) – Cresce il Madre di Napoli che ha “oltrepassato il traguardo dei 100.000 visitatori”, ha visto un incremento “del 70,9% in torta della percentuale dei paganti” e si propone sempre più come museo esemplare, in prima linea nello sperimentare, in prima linea nel sociale, e ora verso la nuova frontiera delle Digital Humanities, ovvero dell’umanistica digitale o informatica umanistica. “Un museo deve essere sempre più comunità: ci si deve riconoscere” afferma Laura Valente, presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Donnaregina per le Arti contemporanee. “C’è un motivo per il quale questo museo è in questo posto. Si affaccia sulla Sanità, su Forcella, in centro storico di Napoli. E lo deve rivendicare sempre. Non può essere un luogo che ospita solo mostre. E per questo che stiamo facendo quest’intervista in questa stanza, che ispira degli archetipi napoletani e campani del sud: è la stanza disegnata con un’opera meravigliosa di Mimmo Paladino. Perché rispetto alle rivoluzioni della pop art in America, qui è nata l’arte povera”.

Valente precisa subito che l’arte povera “non era rivoluzionaria, era radicale nel senso che andava alle radici degli archetipi. E quindi noi vogliamo rivendicare questo spirito e questa origine. E quindi per noi il museo deve essere anche comunità. Non solo comunità, ma anche comunità”.

Il Madre al di là della sua collocazione geografica, incastonata nella storia di una città che copre diversi millenni, ha un immediato impatto sul visitatore. Molto forte e molto nuovo. A partire dall’ingresso, sul quale svetta la Madre Butic, che non è il solito negozio dove l’arte contemporanea diventa gadget, ma piuttosto un luogo dove riflettere, anche con ironia, sulle opere e sulla cultura. “In questo anno e mezzo, abbiamo lavorato più sul concetto di servizi, di internazionalizzazione, di progetti, di formazione, di educational, di tecnologia e di digitale” afferma Valente. “Oltre a continuare la grande tradizione di questo museo che ha avuto importanti riconoscimenti ed è molto conosciuto a livello internazionale, miglior museo dell’anno, miglior direttore dell’anno, il nostro Andrea Viliani”.

Gli argomenti e settori che erano stati lasciati nell’angolo perché si doveva posizionare il museo, oggi sono al centro dell’attività. Quando Valente è arrivata, “era un museo giovane, rispetto ai grandi musei classici della via Duomo: pensiamo al museo del Tesoro di San Gennaro, oppure al Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli oppure al museo Archeologico, proprio a pochi passi da noi”. Nel frattempo però il Madre è passato da 65 mila a 100 mila visitatori. “Questo mentre contemporaneamente si faceva tutto un percorso sul sociale che ha fatto nascere Madre per il sociale: oltre 2000 bambini, 14 associazioni e 15 operatori che hanno lavorato con noi per tutto l’anno e che hanno permesso, da Scampia a Chiaia, da Posillipo a Ponticelli, di arrivare a Napoli, di arrivare nel centro storico di Napoli e vivere questo museo come casa”.

Un grande visionario del 900, Alexander Dorner che è stato direttore del museo del Landes Museum di Hannover – sottolinea Valente – diceva che i musei devono essere delle centrali elettriche. “Perché una centrale elettrica? Perché l’idea che ci sia un museo come questo, deve avere in sé il senso del movimento. Del dialogo, con una comunità che partecipa alla vita del museo, perché se fosse solo museo dell’esposizione, museo dell’arte contemporanea, sarebbe davvero poca cosa. A noi piace pensare che sicuramente noi con l’arte contemporanea, non cambiamo il mondo né lo salviamo, però possiamo cambiare il modo di guardarlo ed abitarlo”.

Tra i più grandi successi di questi anni al Madre, la mostra che rileggeva l’opera di Robert Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989) usando la lente della performatività e che ha riscosso, fin dai primi giorni di apertura, il plauso di un pubblico trasversale. I curatori erano la stessa Laura Valente e Andrea Viliani. “Visto il grande legame di un fotografo come Mapplethorpe con Napoli – racconta Valente – chiedemmo a cinque grandi coreografi contemporanei di fare una creazione danzata, ispirata alle sue opere. Sono venuti qui a lavorare e a sentire lo spirito di questo cambiamento all’interno del madre. Il fatto che queste arti performative, come linguaggio e come senso, entrino di fatto nel concetto di arte visuale e di arte legata al tempo che ci è dato di vivere, ha connotato il Madre come un museo particolare sulla scena nazionale e internazionale. E noi continueremo su questo solco, ad aprire e a viaggiare, anche con l’umanistica digitale. E questo è un progetto che stiamo portando avanti e che presenteremo entro gennaio di quest’anno”.

Quindi si può definire il Madre anche museo di arte collettiva? Anzi una grande performance di arte collettiva? “In questi giorni a Tokyo si sta discutendo su che cosa è un museo. Su una nuova definizione di museo. E ci sono anche tante polemiche su che cosa deve essere un museo. Molti dicono che deve essere un’operazione estremamente sociale. Altri dicono che deve essere un’operazione intellettuale. Un museo secondo me, che viva questo tempo appieno, deve tenere conto di tutte le evoluzioni del linguaggio, e non solo di quella tecnologica. E allo stesso tempo deve ricostruire un tessuto attorno a sé che sia unico, identificativo, esclusivo, come il corpo umano, come l’impronta digitale. E quindi sì, un museo deve essere sempre più comunità”.