I tetti della città del futuro

Il concetto di tetto-giardino di Le Corbusier più attuale che mai

GIU 17, 2019 -

Roma, 17 giu. (askanews) – (di Antonio Maria Barbieri, 20 anni)

Il concetto di tetto-giardino di Le Corbusier (inteso come spazio di relazione tra l’uomo e il verde) non è mai stato anacronistico, anzi, oggi è più attuale che mai, in quanto il tetto può assumere la funzione di opportunità dinnanzi a problemi come la crescita demografica con un successivo aumento della densità urbana, la necessità di riconquistare il contatto con la Natura, produrre energia per far fronte ai problemi climatici, creare un reddito limitando la mobilità, agevolare la logistica attraverso le innovazioni tecnologiche, l’importanza di prodursi del cibo a chilometro zero e trovare degli spazi dedicati alla tranquillità e allo svago.

Il tetto può dunque essere un’opportunità unica e capace di rendere autosufficiente sotto tutti i punti di vista un edificio. Il tetto può diventare uno spazio di scambio di merci grazie alla logistica, ancora in fase di sperimentazione ma presto realtà, dei droni. Il tetto può diventare uno spazio attrattivo dando vita a vere e proprie attività commerciali, allestire mercati e creare spazi collettivi di elaborazione d’idee innovative. Il tetto può diventare uno spazio che soddisfi dal punto di vista alimentare i propri abitanti creando piccoli allevamenti e orti. Il tetto può diventare uno spazio ricco di verde utile sia per terapie psicologiche che per l’assorbimento della luce solare. Il tetto può diventare uno spazio dove l’edificio produce l’energia che occorre a quest’ultimo rendendolo completamente autonomo.

Tutto questo però può accadere su un unico tetto; ma se invece tutti i tetti fossero collegati fra loro attraverso dei “ponti”? E se la città fosse divisa in livelli ognuno per una funzione? E se la vita commerciale e non solo si trasferissero sopra i tetti? E se i tetti diventassero una vera e propria città? Una città chiamata la città dei tetti. Perché no?

Gli edifici devono diventare autosufficienti sotto tutti i punti di vista ma devono soprattutto creare delle concrete opportunità. Un individuo deve avere la possibilità di dormire, di mangiare, di lavorare, di svagarsi e di ricevere merce restando nel proprio edificio. E dinnanzi a grandi sfide epocali prima citate, il tetto può essere la soluzione a numerosi problemi che partono dal singolo individuo fino ad arrivare alla comunità, e dunque alla città.

Tutto questo non sarebbe utopia se soltanto la politica e gli architetti smettessero di occuparsi di “sostenibilità ambientale” e di “efficienza energetica” (in maniera propagandistica) creando soluzioni indirizzate sempre e solo verso ceti ricchi e non comprendendo che i problemi ambientali possono essere risolti solo se l’Architettura si dedica alla maggioranza e non alla minoranza del popolo. Occorre intervenire e rispondere alle esigenze delle persone comuni e delle loro abitazioni per far fronte ad una sfida, quella climatica, che già abbiamo parzialmente perso. Occorre partire dalle piccole sfide per vincere quelle grandi. Occorre vincere le battaglie per vincere la guerra. Occorre partire dagli ultimi per portare il Mondo verso un cambiamento che ci piaccia o no ma che prima o poi sarà inevitabile.

Tutto questo approccio da me auspicato potrà nient’altro che velocizzare un processo che è già destinato ad accadere. E dunque, l’Architettura deve farsi carico di un forte fardello sociale perché l’Architettura è una forma d’arte sociale che guarda il Mondo e non i singoli Mondi di piccole parti della società. L’Architettura non discrimina. L’Architettura non esclude e non emargina. Socialmente parlando l’Architettura crea opportunità, unisce, mai divide.