Csm, Vietti: occorre mettere mano a vera riforma del Consiglio

Ex vice presidente: riduttivo ridurre tutto a teoria poche mele marce

GIU 6, 2019 -

Roma, 6 giu. (askanews) – Sull’inchiesta della Procura di Perugia, in cui sono rimasti coinvolti i pm di Roma, Luca Palamara e Stefano Rocco Fava e il togato dimissionario del Csm Luigi Spina, e che ha travolto Palazzo dei Marescialli, “mi sembra riduttivo ricondurre tutto quello che sta emergendo sui giornali alla teoria delle poche mele marce. In realtà stanno venendo al pettine una serie di nodi strutturali irrisolti a cominciare dal funzionamento del Csm”. Lo dice l’ex vicepresidente del Csm, Michele Vietti, oggi presidente di Finlombarda, la finanziaria della Regione Lombardia, sottolineando che “se è successo anche solo la metà di quello che si racconta non ci sono più alibi per metter mano ad una vera riforma del Consiglio Superiore della Magistratura”.

Una vera riforma del Consiglio Superiore della Magistratura a partire da cosa?

“Per provare a trarne qualche utilità da questa bufera credo sarebbe utile cominciare a ragionare tutti insieme su una serie di riforme, che anche a Costituzione invariata, possano rendere l’organo di governo autonomo dei magistrati meno permeabile e più efficiente. A partire dalla legge elettorale, con collegi piccoli che non rendano necessaria l’organizzazione correntizia per la campagna elettorale e il meccanismo del cosiddetto ‘panachage’, cioè la possibilità di mischiare preferenze da liste diverse. Già questo servirebbe ad allentare il vincolo delle appartenenza. Sarebbe una prima soluzione a costo zero”.

E la riforma dei collegi elettorali da sola sarebbe sufficiente?

“No, contemporaneamente occorrerebbe ripristinare il divieto per i consiglieri togati di andare a ricoprire gli uffici direttivi al termine del loro mandato e più in generale interrompere il circuito che sovrappone e confonde la militanza nell’Anm, l’elezione al Consiglio Superiore e le funzioni direttive negli uffici giudiziari”.

Qualcuno auspica un intervento del presidente del Csm, Sergio Mattarella, per lo scioglimento di questo consiglio. Pensa che sia praticabile questa strada?

“Non saprei, il Presidente della Repubblica nella sua saggezza valuterà. Certo ci sono dei meccanismi operativi e dei quorum che fanno sì che già la situazione attuale sia al limite del buon funzionamento. Ovviamente c’è da augurarsi che non ci sia nessun altro sviluppo negativo perché diversamente ci si verrebbe a trovare in una situazione difficilmente sostenibile”.

Durante gli otto anni passati a Palazzo dei Marescialli da consigliere laico e da vice presidente, non ci sono mai stati tentativi esterni di indirizzare alcune nomine direttive per gli uffici giudiziari?

“Da vice presidente del Csm (dal 2 agosto 2010 al 30 settembre 2014, ndr), ho vissuto una stagione in cui la politica era molto fluida e perciò abbastanza ininfluente rispetto al Palazzo. Ho visto cambiare cinque ministri della Giustizia (Alfano, Nitto Palma, Severino, Cancellieri, Orlando, ndr). Il Csm ha patito poche o nulle tentazioni di condizionamento. Le nomine dei direttivi importanti si è cercato di farle sempre all’unanimità, condividendo le valutazioni che attenevano alla stretta professionalità dei magistrati. Ma devo confessare che non mi ha mai stupito che ci possa essere il concorso delle correnti nel segnalare candidati più o meno affini dal punto di vista culturale; l’importante è che l’organo collegiale sappia poi fare sintesi nel superiore interesse dell’istituzione giudiziaria”.