Cos’è davvero una periferia

APR 10, 2019 -

Roma, 10 apr. (askanews) – (di Antonio Maria Barbieri, 20 anni)

Ci siamo abituati per troppo tempo al voler accostare alla parola periferia un luogo lontano dal centro e avvolto dal degrado, ma in verità la periferia è quel contesto dove non vi è nulla di attrattivo, dove non vi sono spazi di aggregazione e dove non si crea una strada verso un cambiamento.

Per far sì che ogni contesto si possa liberare della definizione “periferia” occorre una progettazione responsabile che deve passare sia attraverso uno spessore culturale all’altezza della sfida che attraverso una politica che metta da parte gli interessi oligarchici. E quando cito quest’ultimi interessi non sono affatto anacronistici. Anzi, siamo sinceri, oggi la maggior parte degli architetti grazie a chi lavorano? Per due oligarchie: una politica e una religiosa. Gli architetti italiani si affidano a movimenti politici e a movimenti religiosi per progettare e dunque, se non vi è il coraggio di prendere delle forti scelte, capite che ogni tentativo di cambiamento va letteralmente “a farsi benedire”.

E tutto questo compromesso sociale basato sul solo profitto è evidente nell’impostazione di equilibrio tra costruito e vuoto dove vi sono marciapiedi di venti centimetri con un palo in mezzo, dove vediamo edifici sorgere senza una logica urbanistica e per citare Le Corbusier “L’alloggio è lo specchio della coscienza di un popolo” e nel nostro caso la coscienza viene a mancare in maniera evidente.

L’Italia dunque necessita urgentemente di un Piano-Periferia che deve coinvolgere tutto il territorio nazionale. L’Italia necessita di un Piano che venga proposto al potere politico da parte di tutti gli architetti italiani che devono unirsi per dare vita a spazi di lavoro collettivi, nuova organizzazione del verde, spazi da dedicare alla ricerca, alla creatività e alla formazione, rendere autosufficienti dal punto di vista energetico ogni singolo edificio, ridurre il traffico attraverso nuove sfide urbanistiche legate ad un trasporto innovativo, rendere le abitazioni mobili e adattabili, e infine rendere la città realmente accessibile e vivibile dall’uomo.

La città del futuro è la città che unisce bisogni fisici-lavorativi attraverso infrastrutture ai bisogni psicologici-sociali attraverso aree verdi per lo svago, per l’agricoltura urbana e anche per attività terapeutiche. Ma come ripetuto più volte l’Architettura da sola non basta e non potrà bastare. Se le persone preferiscono a tutto questo la “Sagra della Porchetta” non è colpa dei pochi, bensì è colpa dell’intero popolo italiano. La porchetta è buona, è vero ma di questo passo diventerà indigesta.