Emilio Prini in Fondazione Merz, una retrospettiva in movimento

A Torino con la curatela di Timotea Prini e Beatrice Merz

OTT 29, 2019 -

Torino, 29 ott. (askanews) – Secondo Germano Celant, Emilio Prini era “un artista che si muove nel vuoto”. E, seppur in modi difficili da spiegare a parole, la frase assume comunque una sua evidenza quando si esplora la mostra che la Fondazione Merz di Torino dedica fino al 9 febbraio 2020 all’artista piemontese scomparso nel 2016. Un percorso a più livelli, che però ha la forza di mostrare come il lavoro di Prini ruotasse intorno a un’idea ricorrente di opera d’arte come verifica empirica, estetica ed esistenziale, in relazione a dati prelevati dal reale.

Ma forse il primo livello utile per avvicinarsi a questa storia è quello della relazione personale tra Prini e Mario e Marisa Merz, di cui ci ha parlato Beatrice Merz, figlia della coppia di artisti, presidente della Fondazione e co-curatrice, con un’altra figlia, Timotea Prini, della mostra torinese. “Il progetto della mostra – ha spiegato ad askanews – è nato proprio da questo affetto, da questa amicizia, da questo sodalizio in un certo senso anche lavorativo che è nato all’inizio dell’Arte povera, quando loro si sono conosciuti”.

Del grande movimento poverista si sente ovviamente la presenza, ma il lavoro di Prini si muove spesso su frequenze sottili, vive della dimensione di ricerca sempre estrema e di un amore per il dubbio, la contraddizione e il gioco. Per questo la stessa idea della mostra non poteva che essere, in un certo senso, in perenne e inquieto mutamento. “Siamo partiti da un piccolo nucleo di opere che volevamo mettere, che sapevamo dov’erano – ha aggiunto Beatrice Merz – che abbiamo chiesto e da lì si è creato anche un tam tam tra i collezionisti, per cui sono riemerse delle opere e questo ha fatto sì che questa mostra diventasse una sorta di retrospettiva, sempre però con questo spirito non museale tout-court”.

Gli spazi della Fondazione Merz a ogni visita appaiono sempre più affascinanti ed è interessante percepire il modo in cui il lavoro di Emilio Prini – spesso frainteso, talvolta ritenuto difficile benché in fondo fosse, come si diceva, una sorta di semplice verifica del reale – si è adagiato in essi, con discrezione, ma anche con una determinazione, curatoriale e allestitiva certo, ma non solo, che ne sottolinea la forza e l’attualità. Naturalmente in modo indiretto, e filologicamente non potrebbe essere altrimenti.