“Nei prossimi due anni vedremo startup planetarie made in Italy”

Luigi Capello (Ad LVenture) all'incontro Investors meet startups

OTT 18, 2019 -

Milano, (askanews) – La creatività e la capacità imprenditoriale italiana sono riconosciute nel mondo. Ma in campo digitale sono poche le startup diventate grandi aziende, come la svedese Spotify, che ha cambiato il modo di ascoltare la musica o la statunitense Instagram, il social network acquistato per 1 miliardo di dollari nel 2012 quando aveva appena 13 dipendenti. Il motivo è la storica mancanza italiana di capitali per sostenere l’espansione sui mercato globale su un piano di parità con i concorrenti stranieri. Ma qualcosa sta cambiando. Ne abbiamo parlato con Luigi Capello, amministratore delegato di LVenture Group, società quotata in Borsa italiana che seleziona startup e le accompagna nella crescita sul mercato, fino alla exit, cioè la vendita delle quote della società da parte del fondatore.

“Se prendo i dati di due anni fa, il 2017 – ha osservato Capello – in Italia si investiva in Venture capital 200 milioni di euro, contro i circa 5 miliardi della Gran Bretagna, il miliardo e otto della Svezia. E’ chiaro che con duecento milioni nascono cose da duecento milioni. Noi siamo un Paese di estrema creatività, paragonati ad altri Paesi; il tasso di imprenditoria è superiore ma la formazione e l’ambizione delle persone non esisteva. Oggi esiste ed è già meglio. E il finanziamento alle startup è stato veramente scarso, di conseguenza oggi non esiste. Questo però non vuole dire che domani non esisterà. In questi anni sono nati dei campioni. E’ chiaro che se avessero avuto delle opportunità oggi sarebbero Spotify, ma questi campioni oggi stanno progredendo molto bene: probabilmente hanno una robustezza manageriale e imprenditoriale molto superiore a una classica startup, Sono sicuro che nei prossimi due anni noi vedremo delle startup planetarie made in Italy”.

LVenture, che ha oltre 65 startup in portafoglio su cui ha investito 14 milioni di euro, oltre ai 48 provenienti da terzi, ha organizzato a Milano un incontro tra sei startup e una platea selezionata di investitori. Le startup sono state scelte in base alle loro prospettive di crescita e capacità manageriale e sono attive su diversi mercati: dagli eventi corporate al customer care per le aziende, dall’integrazione alimentare per il fitness alla personalizzazione dei prodotti cosmetici, dalla sharing economy all’affitto case in vacanza. Due i round di investimento. Fino a 500mila euro per le imprese più giovani, la sessione “seed”, fino a 1 milione di euro per lo step successivo, il “later stage”, per quelle già sul mercato.

Finanziamenti importanti, ma non sufficienti per uscire dalle piccole dimensioni in cui restano confinate spesso le startup italiane. LVenture, che vanta di avere un “modello di business unico in Europa”, individua così la soluzione:

“In Italia in questo momento si riesce ad arrivare a un milione di investimento, poi c’è un gap di capitali che bisogna andare a coprire. Come LVenture stiamo studiando il lancio di questo Fondo di continuità che farà investimenti insieme a LVenture di circa un milione e mezzo. Se vogliamo la Spotify italiana dobbiamo creare una filiera del venture capital, che parte del seed. Ormai in Italia abbiamo le competenze e il denaro sufficiente. E occorre farlo nelle fasi successive – ha concluso Capello – perché altrimenti la startup resta sempre nana, o per lo meno per crescere impiega troppi anni rispetto al concorrente europeo”.