Le scomparse di Liu Bolin al MUDEC: fotografia come performance

L'artista cinese "diventa cose" e dilata il senso del tempo

MAG 14, 2019 -

Milano, 14 mag. (askanews) – Che cosa guardiamo quando guardiamo una fotografia? Che cosa vediamo? Che cosa c’è “dietro” la costruzione di un’immagine? Sono tutte domande che vengono sollevate dalla mostra “Visible Invisible” dell’artista cinese Liu Bolin, allestita al Museo delle Culture di Milano, con la curatela di Beatrice Benedetti. Un progetto che si colloca nello spazio MUDEC Photo e che consente di avvicinarsi, in maniera apparentemente semplice, alla complessità del lavoro di Liu, le cui immagini di totale mimesi con l’ambientazione sono solo l’ultimo tassello di un processo di costruzione e realizzazione dell’opera, che ha una forte componente performativa dentro di sé, anche se il pezzo finale lo mostra solo in modi impliciti.

La poetica di Liu Bolin ruota intorno all’idea di nascondersi per diventare cosa tra le cose, ma la presenza del corpo dell’artista, per quanto abilmente cammuffato, dà a questi oggetti, ma sono anche luoghi, una luce completamente diversa – creativa, sociale, politica – e offre anche uno strumento visuale per riflettere sulla stessa idea di tempo. Con esiti sempre brillanti, molto spesso anche toccanti, come nel caso dei lavori sul tema delle migrazioni.

Elementi che, a maggior ragione, ci portano a interrogarci su cosa stiamo guardando quando guardiamo il potere oppure su quanto ogni immagine agisce come specchio di noi stessi, o ancora su quanto effettivamente la fotografia sia oggi un medium tra i più rilevanti, e complessi, nello scenario contemporaneo. Tutti temi chiave della riflessione sull’arte di oggi, ma anche, più in generale, sulla società in cui ci troviamo a vivere.