Semi, segni, caso: i frammenti semantici di David Reimondo

Al Museo Novecento di Firenze una grande installazione

MAR 22, 2019 -

Firenze, 22 marzo (askanews) – Una grande parete nel loggiato del Museo Novecento di Firenze per accogliere dei “semi” digitali nati dalla scomposizione di elementi di linguaggio che, con questa operazione, danno forma a un nuovo tipo di linguaggio artistico. Gioca un po’ su questo intreccio semantico la grande opera site specific che David Reimondo, chiamato a confrontarsi con i “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, ha concepito e realizzato per il museo fiorentino, e che dal libro del grande semiologo francese ha mutuato anche il titolo.

“Diciamo – ha spiegato l’artista ad askanews – che qui sono partito da un’immagine video: ho preso dei semi di varia natura, con questi ho ricostruito i miei simboli, poi li ho soffiati con un compressore e chiaramente tutti i semi si sono sparsi casualmente. Qui ho voluto che il monitor si adattasse al video, e non viceversa, come succede di solito. Quindi ho ricostruito questa rete di led che ripercorre il movimento con cui i semi sono volati via”.

I frammenti della narrazione di Barthes, quindi, qui diventano semi, che diventano segni e poi, con l’intervento del caos, assumono una ancora diversa forma e, è proprio il caso di dire, una diversa struttura. Ci si potrebbe perdere nel labirinto di significati che il lavoro innesca, ma si potrebbe anche solo accettare la natura provvisoria di ogni indagine e di ogni conclusione, presto sostituita da nuove ricerche, da nuovi approdi, spesso innescati da circostanze imprevedibili, come il movimento dei semi di Reimondo. Artista capace di cercare sempre nuovi percorsi, lasciando vie consolidate e rassicuranti per provare a guardare oltre.

“E’ una questione che esploro nuovi linguaggi, in senso molto globale – ha aggiunto David – non solo come lingua. E chissà dove andrò, sono molto curioso anche io”.

L’installazione di Reimondo, che ha la curatela dell’ottimo Gaspare Luigi Marcone, è l’opera con cui il direttore del museo, Sergio Risaliti, ha voluto inaugurare il ciclo “Ora et Labora”.