Storaro: “Bertolucci era fratello, poeta della macchina da presa”

"Per caso interpretai con la luce il suo rapporto col subconscio"

NOV 27, 2018 -

Roma, (askanews) – “All’inizio era un compagno di lavoro, poi un fratello, ma quasi immediatamente è stato un maestro per me”. Così Vittorio Storaro, direttore della fotografia di Bernardo Bertolucci e vincitore di tre premi Oscar (Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, Reds di Warren Beatty e L’Ultimo Imperatore appunto di Bertolucci), ha commentato la scomparsa del grande regista.

“Lo shock grande che ho avuto in ‘Prima della rivoluzione’ dove ero solo un assistente ho visto lui che cercava di scrivere con la macchina da presa non un racconto ma una poesia. Quello mi ha toccato molto perché eravamo giovani tutti e due lui aveva 22 anni io 23. Poi anni dopo mi chiamò dicendomi ‘mi ricordo di come lavoravi, avrei piacere se riprendessimo un percorso insieme’, e cominciammo ‘La strategia del ragno’. E lì c’è stato credo la congiunzione fra noi, cioè il fatto che lui avendo fatto molta psicoanalisi non raccontava tutto, non diceva tutto in modo cosciente, molte cose le suggeriva, usava dei simboli, delle metafore. E io, in modo innocente e anche forse ignorante perché non conoscevo la psicoanalisi all’epoca, d’istinto ho messo sulle sue tracce, nella sua parte cosciente un certo tipo di luce e nella sua parte inconscia un certo tipo di ombra, all’epoca non sapevo i simboli, credo che quello ci abbia un pochino legato.

“Della cosa della poesia, all’inizio non sapevo perché. Poi ho capito che lui aveva un grande bisogno di seguire le orme del padre. Perché non è vero che apprese il cinema tardi, il padre a Parma aveva un cineclub come critico, Bernardo ha cominciato a vedere il cinema lì, ma l’istinto immediato è stato tentare di essere poeta in letteratura come suo padre. Vinse un premio di poesia a 20 anni. Poi si è accorto che in quel campo avrebbe sempre portato addosso l’ombra di suo padre, come si dice in psicoanalisi”.