L’umanesimo e le contraddizioni: dentro le linee di Sol LeWitt

Francesco Stocchi e Rem Koolhaas curatori per Fondazione Carriero

NOV 17, 2017 -

Milano (askanews) – Entrare nella mostra che la Fondazione Carriero di Milano dedica a Sol LeWitt, “Between the Lines”, è un’esperienza che ha qualcosa di primario e, in un certo senso, di necessario. Perché, tornando ad affrontare una delle figure chiave dell’arte concettuale – cui si attribuisce pure il merito di aver coniato questa definizione – si affronta anche l’idea stessa di opera contemporanea, nella decisiva relazione con lo spazio. Ma la mostra vuole anche aprire altri territori di riflessione, come ci ha spiegato il curatore della Fondazione Carriero, Francesco Stocchi.

“Abbiamo cercato con questa mostra – ha detto ad askanews – di svelare un aspetto dell’opera di LeWitt che non è segreto, ma è nascosto ai più ed è nascosto a chi si avvicina al suo lavoro per la prima volta, che è il suo aspetto fortemente umanista”.

Un umanesimo che si manifesta soprattutto negli elementi di indeterminatezza e di casualità che intervengono, necessariamente, nel momento in cui le regole che LeWitt lascia per la realizzazione dei suoi celebri Wall Drawings passano attraverso diversi realizzatori, come prevede la pratica concettuale, che qui si svela molto meno fredda di quanto forse si può immaginare.

“L’interesse dell’opera di LeWitt – ha aggiunto Stocchi – sta proprio nel fatto che non è ciò che vuol far sembrare al primo approccio”.

Un’altra parola chiave per addentrarsi nella mostra, a nostro avviso, è “contraddizione”: quella che alimenta la dialettica tra opere, come le Strutture di LeWitt, dalla straordinaria pulizia esecutiva, e l’incertezza umanistica che le sostiene, ma anche tra la sensazione che l’artista americano abbia in qualche modo abbattuto i confini tra arte e architettura grazie all’idea di progetto e la reazione di Rem Koolhaas, uno dei più importanti architetti al mondo che ha co-curato la mostra milanese, a questa lettura.

“Lavorando su questa mostra – ci ha detto – sono diventato ancora più consapevole della differenza tra arte e architettura. Se è infatti vero che LeWitt ha dato istruzioni per la realizzazione dei suoi lavori, come facciamo noi architetti, è però vero anche che si tratta di due cose completamente diverse, perché in sostanza attraverso le sue istruzioni lui esplora le condizioni che incontra, e sono condizioni casuali, accidentali ed estremamente diverse. Noi abbiamo l’obbligo e in un certo senso il dovere di fare una cosa sola, in un unico luogo, di non considerare gli scenari, ma un unico elemento”.

Differenze che sono, forse, formali, ma che cambiano la prospettiva con cui leggere questo muoversi tra le linee di LeWitt, così concettuale e così umano, creatore di opere nate per essere ripetute eppure ogni volta uniche e dotate di una forza in certi casi assoluta, come accade con il Wall Drawing #1267, capace di riformulare perfino la struttura della stanza che lo ospita, in questo, altra affascinante contraddizione, mostrando, come volevano fare i curatori, il ribaltamento della prospettiva classica degli interventi site specific.

“Questa esperienza – ha aggiunto Rem Koolhaas – mi ha lasciato anche un senso di grande invidia per la flessibilità e la fluidità di ciò che LeWitt ha potuto fare con il suo lavoro”.

Fluida, ma anche complessa e positivamente problematica, è anche la struttura degli spazi espositivi, che è parte integrante della psicologia stessa della mostra. Così, quando si esce dalla Fondazione Carriero, la sensazione è quella di portarsi via un’idea di arte come arte, nulla di più e nulla di meno. Con tutti i limiti e le contraddizioni di cui si diceva, ma anche con un senso meno sfumato di ciò che può essere l’arte contemporanea, nostro piccolo Leviatano.