Francesco Vezzoli, un naufragio nella nostra storia televisiva

In Fondazione Prada a Milano la poderosa mostra "TV 70"

GIU 22, 2017 -

Milano (askanews) – Il naufragare, diceva Leopardi, in certi mari è dolce. Forse lo è anche, per gran parte della sua estensione, il perdersi nella mostra “TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai”, un progetto di portata vastissima che l’artista ha messo in scena per la Fondazione Prada di Milano, scegliendo opere di altri artisti, spezzoni di programmi televisivi delle Teche Rai e un allestimento originale, ideato dallo studio M/M (Paris), che è parte integrante dell’emozione e del naufragio che viene offerto allo spettatore.

“La stessa cosa – ci ha detto Vezzoli – può avere per persone diverse un significato emotivo diverso e io ho pensato che rimettendo in scena questo teatro fosse uno spunto interessante per tutti per andare a riguardarlo e andare a vedere come se lo risentivano adesso”.

Tra dipinti di Schifano o di Guttuso, video che hanno per protagonisti artisti come Giorgio De Chirico o show con Mina e Raffaella Carrà, Vezzoli mostra come quella televisione, forse inconsapevolmente, fosse in realtà animata da una dirompenza estetica a tutto tondo, che fosse legata al modo in cui sono state raccontate le tragedie di quegli anni, oppure al kitsch visionario di Amanda Lear o Grace Jones in prima serata. Il tutto in un contesto di profonda ritualità televisiva

“Generava riti – ha aggiunto Vezzoli – perché, come dire, non c’era il videoregistratore, che sembra una risposta molto idiota, ma in realtà è la verità. La televisione di oggi non è paragonabile, ma non deve neppure essere paragonata, perché sarebbe una grande ingiustizia, perché la rivoluzione digitale ha detronizzato, non voglio dire distrutto, che è una parola con una connotazione negativa, ha come disintegrato le modalità fruitive”.

Davvero sorprendente poi il modo in cui la mostra ha radicalmente cambiato la percezione degli spazi della Fondazione, creando ambienti del tutto nuovi anche agli occhi del frequentatore abituale.

“Io penso – ci ha detto ancora Vezzoli – che se un museo ha una rappresentatività rispetto alla sua comunità, deve parlare con la sua comunità e deve anche offrire ogni volta una cosa diversa. Io sono anche perfettamente conscio che il prossimo progetto della Fondazione Prada sarà fantasticamente diverso e diametralmente opposto al mio, e ne sono felice e soprattutto ne è felice il pubblico”.

Una felicità che a volte è dolorosa, come nella parte più politica della mostra – con momenti assolutamente imperdibili nel Podium, tanto al piano superiore quanto nello spazio dedicato ai femminismo e alle opere di Carla Accardi – ma che a volte è anche piena della consapevolezza, per chi quegli anni li ha vissuti, di esserne venuti fuori.

“C’era una guerra – ha concluso l’artista – e da tutte le tre parti in causa c’era parecchia attività per creare dolore e creare morte, e invece siamo sopravvissuti. Che ci abbiano salvato i politici, che ci abbia salvato Grace Jones o Alberto Burri io non lo so, però siamo sopravvissuti”.

E la cronaca di questa sopravvivenza, la nostra sopravvivenza, è qualcosa che vale la pena di essere rivista, soprattutto attraverso l’occhio sempre in movimento di Francesco Vezzoli.