Dada 1916: una vera rivoluzione, dalle origini al futuro

A Santa Giulia a Brescia l'unica mostra italiana sul centenario

DIC 5, 2016 -

Brescia (askanews) – Storia, critica, di una rivoluzione vera, proprio per questo forse meno percepita rispetto ad altre, più roboanti ed effimere. Il Museo di Santa Giulia a Brescia ha presentato la mostra “Dada 1916 – La nascita dell’antiarte”, che analizza, dai precedenti agli sviluppi successivi, il fenomeno dadaista, con particolare ricchezza e varietà di materiali esposti e uno sguardo nuovo sulle declinazioni italiane dell’avanguardia, che, agì come un grimaldello per aprire le nuove possibilità dell’arte poi divenuta contemporanea. Una mostra che, nell’anno del centenario di Dada, è anche l’unico evento italiano dedicato a questo anniversario. Luigi Di Corato, direttore della Fondazione Brescia Musei.

“L’unicità – ci ha detto – sta proprio nel fatto che, oltre a essere l’unico vero evento di peso, con oltre 270 opere importanti, è anche un evento che va a esaminare nel dettaglio i molteplici rapporti che hanno coinvolto l’Italia nel dadaismo. Ed è un fenomeno poco conosciuto, piuttosto poco studiato, ma che abbiamo avuto la fortuna di approfondire attraverso una collaborazione di Brescia Musei con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che attraverso il suo docente di Arte contemporanea Francesco Tedeschi è stata una delle poche università che hanno approfondito il tema del dadaismo”.

La ricchezza dell’esposizione bresciana, e la sua, potremmo dire, chiarezza di sguardo, si manifesta nell’avere in qualche modo aderito alla stessa filosofia di “antiarte” sostenuta da Dada: in mostra non mancano importanti dipinti, per esempio di Viking Eggeling, ma accanto a essi sono moltissime le evidenze artistiche di altra natura: dalle lettere ai piccoli disegni, dai film astratti ai ready-made, dalle fotografie alle riviste, che furono veicolo decisivo per la rivoluzione di Dada. Perché al centro di tutto – e qui sta uno degli aspetti di grande modernità del non-movimento di Tzara e, tanto per dire, di Duchamp – c’è la parola, anello di congiunzione sia con la ricerca futurista di Marinetti, sia con il concettuale che verrà.

“Sono stati coinvolti anche studiosi più giovani – ha aggiunto Di Corato – come Melania Gazzotti per esempio, che ha approfondito molto il tema del rapporto tra Dada e futurismo, soprattutto andando a indagare il Dada a Mantova, che nessuno di noi si immaginava di scoprire, ma in realtà Mantova è stata una delle città dadaiste più importanti, oppure Kevin McManus che ha lavorato sul tema delle conseguenze e delle tracce che il Dada ha lasciato nell’arte moderna”.

Nelle stanze del museo bresciano si possono ammirare oggetti mentali come il “Rotorelief” dello stesso Duchamp o processi completi come quello che portò Hans Richter a realizzare i suoi film nei primi anni Venti. Senza dimenticare la possibilità di sedersi, sul serio, dentro la ricostruzione del mitico Cabaret Voltaire di Zurigo, luogo natale ufficiale, nel febbraio del 1916, di Dada. E già in quelle due parole, “cabaret” e “Voltaire” degli osservatori molto brillanti avrebbero potuto intuire il destino creativo che si è poi realizzato nelle forme molteplici che la mostra ha brillantemente ricomposto, e che resta aperta al pubblico fino al 26 febbraio prossimo.