Lluis Llach: “Per noi catalani la nostra lingua è sopravvivenza”

"Non contro la Spagna, ma contro uno Stato avvinghiato al potere"

GIU 16, 2016 -

Roma, (askanews) – Negli anni ’70 fu uno dei principali esponenti della Nova Cançò , il movimento che lentamente fece uscire la lingua catalana dall’illegalità – anche nella musica e nello spettacolo – a cui l’aveva relegata la dittatura di Franco. Oggi Lluis Llach, autore di canzoni simbolo della lotta contro il franchismo come L’Estaca e Viatge a Itaca, ha smesso di cantare e ha creato una fondazione in Senegal per la difesa delle minoranze culturali e sociali, ma allo stesso tempo ha cominciato a scrivere. In Italia, presso la libreria Feltrinelli, Llach ha presentato il suo secondo romanzo, “Le donne della Principal”, edito in italiano da Marsilio, e ci ha parlato della sua avventura politica: dal 2015 è deputato del Parlamento autonomo della Catalogna, che ha formato un governo regionale che ha come mandato quello di preparare il terreno all’indipendenza dalla Spagna.

A Lluis Llach abbiamo chiesto che importanza ha la “memoria” nella sua opera musicale e letteraria:

“Io ho vissuto 28 anni della mia vita sotto il franchismo, che era un po’ il nostro fascismo, quindi tutta la mia adolescenza, gioventù e l’inizio della mia carriera, cominciata a 19 anni, è stata con la censura e il franchismo, che era agli ultimi sussulti, però ancora uccideva. A quell’epoca era la realtà che vivevo. Quando nel 1976 il ministro Fraga, che a quel tempo era responsabile degli interni fece uccidere cinque persone a Vitoria, dissi: ‘Che la memoria vi perseguiti tutti i giorni della vostra vita’, e questo lo faccio tuttora: in tutto ciò che scriverò ci sarà sempre un riferimento a questo passato. Perché credo che ciò che posso lasciare ai giovani per il futuro è di conoscere le radici della frustrazione dei loro padri e nonni e forse di essi stessi, queste cose bisogna spiegarle ai giovani”.

Per un rappresentante importante della cultura catalana, cosa significa l’indipendenza del suo paese dal punto di vista culturale?

“Per i catalani la cultura è stata lo strumento di sopravvivenza. Parlare catalano non era solo usare la lingua della propria madre, ma dietro c’è anche la volontà di sopravvivere e di essere, essere ciò che eravamo stati come paese durante molto tempo. Durante il franchismo, il solo fatto che io cantassi in catalano ha fatto sì che ai miei spettacoli ci fosse la polizia, la censura, alla fine ho vissuto l’esilio, solo per il fatto di parlare catalano. Adesso noi non vogliamo fare uno Stato per il passato, vogliamo farlo per il futuro, per aiutare la gente che vive in Catalogna ad avere un futuro migliore: ma uno Stato potrà anche proteggere in modo adeguato questo patrimonio fastoso che abbiamo di scrittori e poeti meravigliosi, che forse sono stati così creativi perché vedevano che la loro opera serviva sopravvivere: durante la notte oscura del franchismo i nostri poeti, quasi tutti proibiti, erano come candele accese dietro le finestre e facevano luce a un popolo che viveva nella depressione e nell’oscurità”.

Ma a chi le dice che la Spagna oggi è una democrazia e che il catalano è comunque una lingua legale e riconosciuta in Catalogna, cosa risponde?

“Negli anni ’90 in Catalogna avevamo fra il 9 e il 13% di indipendentisti. Nel 2015 siamo il 48% dimostrato e potremmo essere di più, semplicemente perché come comunità, come società, al di là delle identità, come società ci sentiamo maltrattati, indifesi e a volte vittime di una spoliazione. Ma non dalla Spagna, voglio che questo sia molto chiaro, specie all’estero e in Italia. Io non muoverò un dito contro la Spagna, io lotto contro lo Stato spagnolo, che è un’organizzazione di gente goffa, avvinghiati al potere fin dai tempi dei re Cattolici (Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, ndr), e che per dominare questa Spagna portentosa hanno usato idioti incoronati, capitani generali e tutto il resto e ora vorrebbero fare lo stesso con la democrazia. Ed è per questo che sta scoppiando, per questo in Catalogna vogliamo andarcene, per questo in Castiglia c’è Podemos, perché tutto questo non è più possibile, uno Stato come questo non lo sopportiamo più. Allora noi guardiamo al futuro: vogliamo essere liberi per vivere un altro futuro in modo diverso, organizzarci come una società del XXI secolo e non come una del XIX secolo”.