Storace: “Se i romani vanno a votare, divento sindaco”

Il candidato de La Destra: "Sì a primarie condivise e aperte"

MAR 4, 2016 -

Roma (askanews) – “Io ho il dovere di andare avanti con la candidatura a sindaco di Roma. Le primarie nel centrodestra le ho chieste ben prima di Salvini. Hanno fatto spallucce. Poi certo, se condividiamo le regole e sono primarie aperte in cui ogni cittadino può votare o candidarsi, io credo che si farebbe bene a fare le primarie”. Lo afferma Francesco Storace, leader de La Destra, già ministro della Salute e presidente della Regione Lazio e oggi candidato sindaco di Roma, in questa videointervista ad askanews.

“Sono l’unico candidato di destra del centrodestra, perché nella confusione c’è anche questa parodia per cui l’elettore del centrodestra dovrebbe scegliere tra candidati che hanno votato a sinistra, come Bertolaso e Marchini. Domenica, al Teatro Quirino racconterò la Roma dei prossimi cinque anni”.

E se nel centrodestra si facessero le primarie? “Allora – risponde Storace – domenica sarebbe la prima manifestazione delle primarie che vincerò per poi diventare sindaco, all’unica condizione di riuscire a portare alle urne tantissima gente. In questi giorni mi scrivono da tutte le parti per dirmi: se c’è lei, io vado a votare. Quindi se si alza l’affluenza, si sballano i sindaggi e io vinco le elezioni”.

E in questa ipotesi, quali sarebbero i primi provvedimenti che assumerebbe da sindaco? “Farei subito un decreto per delegare a me stesso la sicurezza. Nominerei all’interno del corpo dei vigili un comandante perchè basta con gli esterni. Illuminerei meglio la città perché è inaccettabile che ampie zone delle periferie siano prive di luce. Poi chiamerei l’assessore ai servizi sociali e gli chiederei di ridisegnare il welfare comunale perché troppe case popolari, troppi asili nido, troppe scuole materne sono occupate solo da stranieri e non da italiani, invece prima devono venire gli italiani e poi gli stranieri. Poi ci occuperemmo di trasporti e di tante altre questioni aperte, ma con la certezza che non lascerei Roma. Io non devo pensare a un’altra cosa da fare dopo il Campidoglio. Se faccio il sindaco, la mia carriera politica si chiuderà con Roma”.

E come affrontare l’asfissia finanziaria del Comune, gravato da 13,6 miliardi di debiti? “Quando nel 2008 si è scoperta questa enorme massa debitoria, risalente per la maggior parte a Rutelli e Veltroni, il sindaco Alemanno fece un accordo col governo Berlusconi per separare la gestione ordinaria da quella del debito che allora erano 22 miliardi e sono scesi agli attuali 13, quindi vuol dire che in questi anni, purtroppo con le tasse estorte ai cittadini romani, ma anche ai cittadini italiani, questo debito si è andato ad abbattere. Probabilmente serve una rinegoziazione, perchè non ci possiamo permettere di strangolare i cittadini con le tasse. Poi voglio vedere come si spendono i soldi e infine sul patrimonio immobiliare del Comune agirei come ho fatto anni addietro da presidente della Regione, quando sfrattai dai locali dell’enoteca regionale di via Frattina un commerciante che pagava due soldi”.

Ma oggi, nella società politica post ideologica, che senso ha ancora la destra? “Oggi destra – conclude Storace – è ‘popolo’ in alternativa a ‘palazzo’, oppure come dice la Le Pen, basso in alternativa ad alto. Perchè oggi c’è bisogno di rappresentanza. A me ha impressionato molto la sordità del Palazzo sulla vicenda non romana di un polizziotto del Sap, Gianni Tonelli, che è stato ricoverato in ospedale dopo 43 giorni di sciopero della fame per protesta contro il Ministero dell’Interno per la punizione a un collega. Ieri si è sentito male e sto ancora aspettando un gesto dal presidente Mattarella, dal presidente Renzi e da quel vile che abbiamo al Viminale, Angelino Alfano”.