8 marzo, Cecilia Robustelli: il linguaggio cambia con le donne

Parla l'autrice delle Linee Guida per l'Accademia della Crusca

MAR 5, 2015 -

Roma, (askanews) – Sul linguaggio di genere, una intervista a Cecilia Robustelli, docente di linguistica italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, collaboratrice dell’Accademia della Crusca, e autrice delle “Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”. Sentiamo sempre più dire “la ministra, la presidente”: perché il linguaggio diventa importante per definire l’immagine della donna? “Perché la donna” dice Robustelli “in questo scorcio di fine Novecento ha cambiato molto il suo modo di essere nella cittadinanza. Io tengo molto a dire che usare il femminile vuol dire riconoscere la presenza di una donna in un determinato ruolo e che usare il titolo maschile invece nasconde la donna, perché chi ascolta pensa che la persona sia un uomo”.

La lingua è sempre magmatica ma qui si parla di un piccolo campionario di parole che indicano mestieri ‘di prestigio’ tradizionalmente riservati agli uomini; perché il cambiamento provoca tanta ostilità? “La prima ragione è che sono termini nuovi e tutti i termini nuovi procurano un certo disagio, tanto più perché fino allora sono stati usati altri termini, e il sostantivo al femminile viene vissuto come una sorta di piccola imposizione, di presunzione da parte delle donne. Maschera però il fastidio verso il cammino che hanno fatto le donne; chi fosse felice e contento del cammino delle donne dovrebbe essere contento che siano riconosciute queste nuove cariche.

Dal punto di vista tecnico, le Linee Guida – a parte alcuni termini radicati nell’uso come “dottoressa”, “poetessa”, “direttrice” – suggeriscono di femminilizzare in -a i sostantivi in -o, e di lasciare in -e mutando l’articolo i sostantivi come “presidente”. “La presidente, come la cantante” dice Robustelli, “mantiene la stessa forma. Per le parole in -essa, quelle che sono nel linguaggio abbiamo visto che possono essere usate; per quelle che potrebbero essere di nuovo conio, conviene una forma un po’ più semplice… Invece di ‘vigilessa’ insomma va bene ‘la vigile'”.

E i plurali? “Anche il Papa dice “cari fratelli e care sorelle”… Ma sono casi particolari. Nella vita quotidiana questo raddoppiamento non è sempre possibile e giacché il maschile plurale ha già questa funzione inclusiva, per l’economità della lingua niente vieta di usare i plurali maschili soprattutto nel linguaggio amministrativo, per usare un linguaggio trasparente e comprensibile”.