Torna “The Crown”, nella quinta stagione Diana protagonista

Uno show - bellissimo - di ricostruzione storica ed emotiva

NOV 9, 2022 -

Roma, 9 nov. (askanews) – Mercoledì 9 novembre: va in onda su Netflix la quinta attesissima stagione di “The Crown”, la serie Netflix di enorme successo che traccia le vicende di casa Windsor, come le ha immaginate l’autore Peter Morgan. A vestire i panni della regina ormai anziana – dal 1991 in poi – c’è Imelda Staunton (l’hanno preceduta Claire Foy e Olivia Colman). Jonathan Pryce è un principe Filippo sardonico, Dominic West un principe Carlo un po’ troppo attraente per il ruolo, Elizabeth Debicki è Diana, principessa fragile, ingenua e cuore caldo. Qualcuno aveva protestato suggerendo che almeno ora, quando si tratta di eventi così vicini ai nostri tempi, Netflix dovrebbe avvertire il pubblico che si tratta di opera di fantasia, e non di storia vera (particolarmente fastidiosa la notizia che in una puntata il principe Carlo discute con il premier John Major delle sue speranze che la regina abdichi in suo favore, cosa strenuamente negata da Buckingham Palace). Ora che Elisabetta II è morta, quale sarà la reazione del pubblico? Jonathan Pryce ha dato una risposta in uno dei pochi momenti interessanti della scialba conferenza stampa internazionale con il cast di martedì 8 novembre (accuratamente orchestrata in modo da evitare domande imbarazzanti, tipo “dopo il decesso Peter Morgan ha modificato la sceneggiatura della sesta ed ultima stagione ora in produzione”?). Secondo Pryce, “il pubblico crescerà ancora, il popolo sarà confortato vedendo la regina sullo schermo. Mi hanno fatto impressione le immagini di tutte quelle persone in fila prima dei funerali. Oggi i politici non hanno credibilità, ma la folla alla camera ardente era un modo di dire ‘ecco chi vorremmo davvero ci governasse, gente così”. E per Imelda Staunton, i britannici dimostravano “un enorme rispetto per una persona che manteneva le sue promesse”. Però è lecito chiedersi se il pubblico sappia discernere fra realtà (per quanto se ne sa) e fantasia (quella di Peter Morgan, che ha fatto una carriera di immaginare la regina e chi le stava intorno: sua la sceneggiatura del film “The Queen” con Helen Mirren in cui si narravano i terribili giorni dopo la morte di Diana; sua la commedia “The Audience” portata da Londra a New York, sempre con Helen Mirren nei panni della sovrana, ritratta mentre incontra i suoi moltissimi primi ministri da Churchill a John Major…) Come ha detto Elizabeth Debicki, “tu dai la tua intepretazione della visione che Peter dà del personaggio, ma sai che ti rivolgi a un pubblico che ha le sue proprie emozioni e i suoi propri ricordi di quegli eventi”: per gli attori, un gioco di equilibrio. “Si tratta di immaginare come possano essere queste persone così note dietro le quinte, lontano dai riflettori: umanizzarle” ha aggiunto Staunton. Di certo, lo sceneggiato è meraviglioso nella ricostruzione storica, come solo gli inglesi sanno fare, con il lavoro di decine di persone, raccontano gli attori: costumisti, truccatori, vocal coach, body coach, per imitare nell’accento e nei movimenti i reali e i loro congiunti (e in effetti Dominic West somiglia a Carlo solo quando si sforza di essere impacciato come l’allora principe), ma anche nei dettagli di ogni dimora ricostruita, di ogni colazione o pranzo o cena, stoviglie, mobili, suppellettili, automobili, eccetera eccetera. Gli attori possono attingere anche a un archivio video, “con spezzoni che non sono mai andati in tv” ha spiegato ancora Debicki “ed è proprio osservando i minuti dettagli del corpo che a volte si capisce meglio la persona che si deve interpretare” (lei ci riesce benissimo, aiutata anche da un viso simile negli occhi e nella struttura a quello della principessa). Ognuna delle dieci puntate si incentra su un evento o su una persona (una è dedicata agli al Fayed, a Dodi che morì nell’incidente del 1997 con Diana, ma soprattutto al padre Mohamed); ma al centro dell’azione, più ancora che nelle stagioni precedenti, ci sono gli esseri umani, e la scrittura di Morgan è chiaramente tesa a rendere partecipe il pubblico dei loro drammi, e più al centro di tutti c’è Diana. Non si può non indignarsi quando il giornalista della BBC Martin Bashir si inventa falsi documenti sulle supposte collaborazioni del segretario di Diana con i servizi segreti per spiarla (la BBC ha ammesso il fattaccio lo scorso marzo, con tante scuse e una somma di denaro al segretario Patrick Jephson, ma nessuno ridarà alla principessa scomparsa le ore passate a piangere un tradimento inesistente o a soffrire per la crescente paranoia per cui i figli rimproverano ancora acerbamente l’emittente di Stato; a proposito, bravissimi i ragazzini, soprattutto il giovane William di Timothee Sambor). Non si può non simpatizzare con la regina nei tanti momenti del suo “annus horribilis”, quando i matrimoni dei figli si sfaldano l’uno dopo l’altro. Sul funerale di Diana non si dirà: lasciamo un minimo di mistero. “Abbiamo avuto fortuna a interpretare eventi così terribili, è una grande sfida per un attore” ha detto Imelda Staunton.