Caparezza torna con “Prisoner 709”: disco per analizzare me stesso

"Mi sentivo in trappola ma ho affrontato i miei fantasmi"

Milano, 14 set. (askanews) – Un disco molto diverso dai precedenti perché “rivolto verso di me, non più all’esterno” in cui la critica sociale e politica lascia il posto all’analisi di se stesso, perché nato da un periodo difficile: Caparezza descrive così il suo nuovo album “Prisoner 709”, che esce domani. Il cantante esplora tutta una serie di contrasti, ragione e religione, servire o comandare, perdono o punizione sono alcuni, uno per ogni brano, per raccontare come ci si sente da intrappolati: l’album è nato dopo l’acutizzarsi del problema all’udito, un acufene che lo accompagna da anni.

“Dopo 17 anni di dischi e concerti mi sono sentito un po’ intrappolato in questa mia vita, colpa anche dell’acufene, ho voluto raccontare questo stato d’animo. Sono sempre stato ironico, felice e gioioso, lo sono ancora, ma tutti hanno dei momenti di riflessione. Non sono depresso ma felice e sereno, ho affrontato un po’ di fantasmi e li ho fatti fuori. L’ho fatto con questo album che non a caso è in bianco e nero, quello che facciamo oggi – ha detto il cantante seduto al centro dei giornalisti come in una terapia di gruppo – è la rappresentazione visiva di questo album dove sono al centro del disco. Io amo e odio la musica, mi ha dato e tolto tanto, è un amore vero e viscerale, a volte mi guarda in faccia a volte mi dà le spalle, questa è l’interpretazione dell’incontro di oggi”.

Il titolo del disco prende spunto dall’esperimento della prigione ideato da uno psicologo di Stanford: un gruppo di studenti doveva recitare il ruolo di guardie e prigionieri, ma anziché due settimane durò solo sei giorni perché nessuno riusciva più a sganciarsi dal ruolo assegnato. I numeri 7 e 9 accompagnano tutto il disco, sono il numero di lettere di Michele e Caparezza ma non solo, questo e anche l’album numero 7 del cantante. Il disco è “molto diverso dai precedenti, introverso e rivolto verso me e non più verso l’esterno come avevo fatto con la critica politica e sociale, stavolta ho cercato di analizzare me stesso, mi è venuto da scrivere in flusso, il primo pezzo è angosciante non alla Caparezza. Ho detto tutto quello che sentivo in quel momento, e una volta esorcizzato l’album è venuto molto spinto, come una reazione a qualcosa” ha detto ancora il cantante.

La prima canzone “Prosopagnosia” prende il nome da un deficit che impedisce il riconoscimento dei volti altrui, in questo caso è l’artista che non riesce più a riconoscere se stesso. Ma il disco è ricco di riferimenti e citazioni che lo rendono “non semplice” come lo ha definito lo stesso Caparezza, che nonostante tutto non teme di creare una barriera tra sè e il publico: “Quando ero piccolino mi innamorai della ‘Voce del padrone’ di Battiato, non mi arrivava nulla di quello che arrivava ai più grandi, ma c’era qualcosa che arrivava a prescindere, se uno è abituato a canzoni inglese di cui non capisce nulla faccia finta che sia una canzone in inglese” ha detto. Per quanto riguarda il porgere questi brani in tour ha detto: “Ho imparato che pensiamo che certi pezzi non siano cantabili ma a quello che vedo negli spettacoli a volte mi dimentico il testo e seguo il labiale di chi la canta, il vero dramma sono quelli strumentali” ha spiegato.

“A 43 anni fare rap non è sempre così immediato come a venti ma mi piace ancora farlo e mi sono messo alla prova. Non vedo limiti di genere, ma nelle persone e in quello che vuoi fare. Voglio che un disco esista non deve piacere, semmai interessare, la logica del disco che deve piacere porta a dischi piacioni” ha risposto poi, chiarendo che il suo discorso parla della musica in generale e non si riferisce a dei colleghi cantanti.

“Prisoner 709” si apre con una canzone angosciante ma è un percorso di 16 canzoni circolare, perché l’ultimo pezzo ha lo stesso titolo del primo, ma è completamente diverso: “Il pezzo che apre è lo stesso del finale ma la prima volta è angosciante e tristissimo, la seconda felice ed anni settanta, per dire che ho queste angosce e accetto di averle, è un atto di liberazione” ha detto nel finale Caparezza.