Spazio, vita in microgravità: il corpo umano si adatta e recupera

I risultati dello studio su astronauti gemelli Mark e Scott Kelly

APR 15, 2019 -

Roma, 15 apr. (askanews) – Il corpo umano si adatta alla vita in microgravità meglio del previsto, mostrando capacità di recupero. Nell’ambito del “Twins Study” condotto sugli astronauti gemelli Mark e Scott Kelly, un team di ricercatori ha analizzato il modo in cui la permanenza nello spazio per lunghi periodi di tempo influenzi la regolazione delle proteine e dei metaboliti nel corpo e tutte le implicazioni che ne derivano a livello di salute sia durante che dopo il soggiorno spaziale.

Dopo la conclusione della “One Year Mission” di Scott Kelly e Mikhail Kornienko nel 2016, la Nasa – si legge su Global Science, il quotidiano online dell’Agenzia spaziale italiana – aveva dato il via ad una serie di studi medici condotti sul comandante Kelly e sul gemello omozigote Mark, anch’egli astronauta, rimasto a terra come soggetto di controllo. I risultati dello studio, pubblicato su “Science”, evidenziano che la problematica maggiormente riscontrata negli astronauti è una sindrome neuro oftalmologica, ovvero disturbi che colpiscono i meccanismi che controllano i movimenti degli occhi o la vista stessa, legati ad una esposizione prolungata in microgravità ma anche ad una predisposizione genetica. Inoltre, sono stati riscontrati alcuni cambiamenti cardiovascolari simili all’aterosclerosi e un’alterazione della pressione dei fluidi nel cervello.

Durante la permanenza in orbita di Scott Kelly, sono stati raccolti campioni biologici per creare una visione completa della situazione fisiologica e comportamentale del corpo umano. I risultati mostrano un aumento delle proteine del collagene nelle urine e un ‘rimodellamento’ vascolare. Il team sta attualmente completando nuovi studi finanziati dalla Nasa.

“Lo studio sui gemelli Kelly ha dimostrato la resilienza e la robustezza di come un corpo umano può adattarsi ad una moltitudine di cambiamenti indotti dall’ambiente spaziale, come microgravità, radiazioni, disturbi circadiani, elevata CO2, isolamento da amici e famiglia e limitazioni dietetiche”, ha commentato il primo autore dello studio Brinda Rana.

“I risultati serviranno da apripista per futuri studi volti a comprendere meglio i potenziali rischi per la salute di missioni di lunga durata e lo sviluppo di contromisure personalizzate”.