Astrofisica, supercomputer al lavoro sulla materia oscura

Su "Nature" possibili connotati dello sfuggente ingrediente

NOV 3, 2016 -

Roma, 3 nov. (askanews) – “È molto difficile trovare un gatto nero in una stanza buia – recita un antico proverbio – soprattutto se non c’è nessun gatto”. Esordisce così Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica, per ricordare che spesso la scienza procede a tentoni inseguendo ombre a malapena percepibili e introdurre il tema della materia oscura e dei risultati di uno studio pubblicato su “Nature” che potrebbe offrire un identikit di quella parte tanto preponderante quanto sfuggente del nostro Universo.

Fisici e astrofisici hanno un modello di universo che funziona bene, benissimo – il Modello Standard – per descrivere il 15% di materia cosmica che conosciamo. Del restante 85% non sappiamo quasi nulla. Per restare in metafora si potrebbe dire che si tratta del più grosso e introvabile gatto nero di sempre.

Da anni diverse teorie sviluppate per estendere il Modello Standard prevedono l’esistenza di particelle elementari ultraleggere, conosciute con l’acronimo ALP (Axion-Like Particle), uniche nel loro genere, che non interagiscono con nessuna fra le particelle note, eccezion fatta per il fotone.

Ma è chiaro – prosegue Media Inaf – che si brancola nel buio più totale, si esplorano tutte le possibili combinazioni tra la massa delle particelle e i modi di emissione dei fotoni gamma. Da un lato, si cercano raggi gamma prodotti dal decadimento di ipotetiche particelle pesanti, note come WIMP (Weakly Interacting Massive Particle), dall’altro si esplora il territorio delle particelle leggerissime, le ALP.

Poche particelle pesanti o moltissime particelle ultraleggere? “Bisognerebbe almeno decidere su che tipo di massa vogliamo concentrare le nostre ricerche, altrimenti si rischia di girare a vuoto per decenni, nonostante il grande aiuto fornito dai supercomputer di ultima generazione”, spiega Andreas Ringwald del Deutsches Elektronen-Synchrotron (DESY) e coautore di uno studio appena pubblicato su Nature dove si presentano i dati ottenuti grazie a JUQUEEN, supercomputer di Jülich, e su cui ha lavorato un gruppo di ricerca dell’Università di Wuppertal, la Eötvös University di Budapest e il Forschungszentrum Jülich.

I risultati mostrano, tra le altre cose, che se di Axion-Like Particle è costituita la maggior parte della materia oscura presente nell’universo, esse dovrebbero allora avere una massa calcolabile fra i 50 e i 1500 micro-elettronvolt e quindi essere fino a dieci miliardi di volte più leggere di un elettrone. Questo comporterebbe che ogni centimetro cubo d’universo dovrebbe contenere in media dieci milioni di queste particelle ultraleggere.

Dal momento che la materia oscura non è distribuita in modo uniforme nello spazio, ma presenta i nodi e le ramificazioni tipiche di una rete informatica, ne risulta – conclude Media Inaf – che la fetta di Via Lattea che abitiamo dovrebbe contenere circa un trilione di APL per centimetro cubo. Calcoli alla mano, c’è qualcosa di concreto su cui lavorare. Secondo Zoltán Fodor, responsabile del gruppo di ricerca tedesco-ungherese, la “pubblicazione di questi risultati apre la caccia alla scoperta delle particelle responsabili della materia oscura”.