Marco Minniti spiega perché si candida alla segreteria PD

"Non sono renziano"

NOV 18, 2018 -

Roma, 18 nov. (askanews) – “Ho deciso di mettermi in campo perché considero la mia una candidatura di servizio. Di una persona che ha ricevuto tanto dal suo partito, dalla sinistra e che sente ora di dover restituire qualcosa”. Marco Minniti scende ufficialmente in campo e annuncia, in un’intervista a “Repubblica”, la decisione di candidarsi alla segreteria del Pd. L’ex ministro dell’Interno spiega di sentirsi in obbligo di provare a evitare “l’estinzione del Partito Democratico”, avvertendo però: “Io non sono lo sfidante renziano. In campo c’è solo Marco Minniti”. “So bene che le scorse elezioni sono state più di una sconfitta. C’è stata una rottura sentimentale con i nostri elettori. Questa è la sfida del Congresso. Io non cerco scorciatoie”, aggiunge. Bisogna “tornare semplicemente al governo. La sconfitta del nazionalpopulismo è possibile solo si riesce a parlare con la società italiana. Va ricostruita una connessione. Serve un Congresso che parli all’Italia, non un regolamento dei conti interni”.

“In questi anni mi sono occupato di due grandi questioni: la sicurezza nazionale e il ministero dell’Interno. Abbiamo garantito sicurezza dinanzi al terrorismo internazionale. E poi ci siamo cimentati con il governo dei flussi migratori coniugando umanità e sicurezza”, continua Minniti, che a chi definisce la sua candidatura renzia, spiega: “Parliamo di 550 sindaci che hanno firmato un appello. Rappresento questa parte del partito e non un equilibrio correntizio. Se non ci fosse stata questa richiesta da parte di tanti eletti, non mi sarei reso disponibile. E poi rivendico con una certa fermezza una storia personale, fatta al servizio delle istituzioni. Si sta candidando Marco Minniti. Punto”.

In merito alle responsabilità di Renzi, in quella che viene definita la più grande sconfitta nella storia della sinistra, Minniti replica: “Essendo stato tra chi non ha esagerato nel lodarlo quando era al potere, non ho alcun bisogno di prenderne le distanze. Renzi ha perso e si è giustamente dimesso assumendosi responsabilità che vanno anche oltre le sue. Il tema ora non è più questo, ma come salvaguadare il progetto riformista. Connettere il riformismo al popolo”. D’altronde, “non abbiamo risposto a due grandi sentimenti: la rabbia e la paura. Non si può rispondere a chi ha perso il lavoro con la freddezza delle statistiche. Dicendogli che l’occupazione cresce. Così come non si può dire al cittadino che ha subito un furto in casa, che i reati diminuiscono”.

“C’è bisogno della sinistra riformista. I più deboli si sono sentiti abbandonati. Anzi, addirittura biasimati. Quello spazio è stato colmato dai nazionalpopulisti. Basta vedere quel che è accaduto nelle nostre periferie”. E invece “mai come in questa fase il Pd è l’unico argine democratico a questa maggioranza nazionalpopulista”. Come si costruisce concretamente? “Su otto parole chiave: sicurezza e libertà, sicurezza e umanità, interesse nazionale e Europa, crescita e tutele sociali. I nazionalpopulisti contrappongono queste parole e impongono una scelta, noi dobbiamo conciliarle. Dobbiamo farlo sapendo che senza l’Ue – che va cambiata profondamente – non si affrontano le questioni poste dalla globalizzazione. Una grande Italia in una grande Europa”.

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