Franceschini lancia la legislatura costituente (fibrillazione nel Pd)

Partito in tensione su elezione capigruppo, si contano "truppe"

MAR 14, 2018 -

Roma, 14 mar. (askanews) – Dario Franceschini apre a un governo “costituente” per fare le riforme e tornare al voto e nel Pd risale la tensione.

Questa mattina, in una intervista al ‘Corriere della Sera’, il ministro per i Beni culturali ha lanciato la sua proposta. “È il momento di scrivere le regole tutti insieme – ha detto -. Le riforme a maggioranza non funzionano; ma siccome oggi nessuno ha la maggioranza, il quadro è perfetto per fare le riforme, perché nessuno le può imporre agli altri”. Franceschini pensa, in primo luogo, a un sistema monocamerale, con una nuova legge elettorale.

“Il governo – ha aggiunto – diventa figlio di questo schema.

Dovrebbe accompagnare e acconsentire il processo. Certo non per un tempo infinito”.

Parole accolte con una certa ‘freddezza’ tra i Dem. Nessuna parola dal ‘reggente’ Maurizio Martina, oggi al lavoro al Nazareno, il ministro della Giustizia Andrea Orlando se l’è cavata con diplomazia. “Nel documento conclusivo della Direzione del Pd, che è stato votato da tutti – ha ricordato – abbiamo detto che siamo per una posizione responsabile che guardi con attenzione alle mosse che farà il Colle, ma che siamo indisponibili ad un’alleanza politica con la destra e il Movimento 5 Stelle. Credo a questo posizionamento rappresentato coerentemente da Martina ieri. Questa è la direttrice lungo la quale dobbiamo muoverci. Non mi pare che Franceschini abbia detto cose radicalmente diverse. Poi ognuno darà la sua accentuazione ad un punto rispetto che a un altro. Però mi pare che il partito si stia muovendo in questa direzione”. “Sulle regole abbiamo speso già molte energie nell’ultima legislatura, se ci sono le condizioni noi ci siamo. Ma il tema del governo è altra questione”, ha detto Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria, vicino a Renzi, nel suo classico stile molto moderato. A microfoni spenti, però, la reazione dei renziani è più infastidita: “Franceschini a 48 ore dalla direzione già smentisce la linea del segretario reggente”.

L’uscita di Franceschini, quindi, sembra mettere sotto stress la tregua interna al partito. In cui già comunque, lontano dai riflettori, si sta consumando la battaglia, per ora a bassa intensità, sull’elezione dei capigruppo. Martina ha assicurato la volontà di trovare soluzioni condivise, intenzione ribadita oggi dallo stesso Guerini. Ma Renzi, dopo le dimissioni, non intende mollare la presa sui gruppi, anche se cercherà di evitare “strappi”. Però è convinto di avere la maggioranza, anche contando alcune possibili defezioni. Per questo c’è un foglietto che gira tra i renziani di stretta osservanza. Sopra, a mano, ci sono i “conti” dei gruppi parlamentari. Alla Camera sono segnati 117 deputati (112 del Pd, 5 della coalizione) con 85-90 etichettati come “ok”, cioè ancora fedeli all’ormai ex segretario. Al Senato i parlamentari Dem sono 56 (di cui 3 della coalizione) e gli “ok” sono fra 39 e 43. La convinzione, dunque, è che ci siano i numeri per guidare, se non imporre, l’elezione dei capigruppo. Renzi punta alla conferma di Ettore Rosato alla Camera con la possibile alternativa rappresentata da Guerini. Al Senato, invece, il nome di Renzi è quello di Andrea Marcucci, toscano, fedelissimo del leader. Nomi che però, per l’area che fa capo a Orlando, sono inaccettabili. La battaglia è appena cominciata.

Red/Pol