Perché Cappato sul caso di DJ Fabo dice di preferire una condanna

"Molti altri in Svizzera a morire"

GEN 17, 2018 -

Milano, 17 gen. (askanews) – “A un’assoluzione per irrilevanza della mia condotta preferisco una condanna. Perché io ho aiutato semplicemente una persona a esercitare il proprio diritto di libertà di scelta e quindi a morire”. E’ l’appello lanciato da Marco Cappato ai giudici della Corte d’Assise di Milano che il 14 febbraio prossimo dovranno stabilire se condannarlo oppure assolverlo dall’accusa di istigazione al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, il 40enne milanese più conosciuto come dj Fabo, in Svizzera a morire. Cappato ha preso la parola in aula per una serie di dichiarazioni spontanee dopo le arringhe dei suoi difensori che, al pari dei pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini, hanno chiesto la sua assoluzione “perchè il fatto non sussiste”.

In sostanza, l’auspicio di Cappato è che la Corte, nelle motivazioni di un’eventuale sentenza di assoluzione, sancisca che, con la sua condotta, si è limitato ad agevolare l’autonoma libertà di scelta di Fabiano Antoniani. Perché una sentenza di assoluzione per irrilevanza delle accuse potrebbe avere ripercussioni negativi sul destino di altri malati irreversibili come dj Fabo: “Un’assoluzione di questo genere – ha osservato rivolto alla Corte – vorrebbe dire che l’assistenza alla morte assistita dipende dalla possibilità di andare in Svizzera e di pagare 12 mila euro”.

Obiettivo dell’esponente Radicale è insomma arrivare a una sentenza che sancisca la libertà di scelta e di autodeterminazioni delle persone colpite da malattie incurabili o patologie irreversibili. “Sono passati 11 mesi – ha puntualizzato – dalla morte di Fabiano. Da quel momento, molte altre persone sono andate in Svizzera, nella stessa struttura scelta da dj Fabo, per sottoporsi alla pratica della morte volontaria. Non sapremo mai quante. La sola clinica Dignitas nel solo anno 2012 ha censito 22 italiani. Decine di persone di cui non sappiamo nulla perché hanno fatto tutto clandestinamente. Con lo Stato italiano che fa finta di niente, anche se il nostro è un sistema giuridico che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale”. Mentre Antoniani, anziché agire nell’anonimato, ha voluto fare tutto pubblicamente. “Il patto tra Fabiano e me – ha messo in chiaro ancora Cappato – è che io mi sarei assunto tutta la responsabilità di fare tutto ciò che nessun altro avrebbe potuto fare” proprio per non incorrere in conseguenze penali.

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