Dj Fabo, la Procura di Milano chiede l’assoluzione per Cappato

La pm di Milano Siciliano: valutare legittimità costituzionale del reato di "aiuto al suicidio". Il pubblico in aula applaude

GEN 17, 2018 -

Milano, 17 gen. (askanews) – L’assoluzione di Marco Cappato dall’accusa di agevolazione al suicidio “perchè il fatto non sussiste”. Oppure, in subordine, l’invio degli atti del processo sulla morte di Dj Fabo alla Corte Costituzionale per sollevare una questione di illegittimità costituzionale sull’articolo 580 del codice penale che prevede, appunto, il reato di aiuto al suicidio. E’ la richiesta presentata del pm di Milano, Tiziana Siciliano, ai giudici della Corte d’Assise nel processo che vede Marco Cappato imputato di agevolazione al suicidio per aver accompagnato in Svizzera a morire Fabiano Antoniani, il 40enne milanese più conosciuto come Dj Fabo rimasto cieco e tetraplgico dopo un grave incidente d’auto del giugno 2014.

Secondo il magistrato milanese, il reato di aiuto al suicidio contrasta con il principio della dignità della vita, sancito dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo e al centro di numerose sentenze della Cedu.

– Le richieste del pm Siciliano sono state accolte da un sonoro applauso da parte del pubblico presente in aula. Cappato, ha argomentato il magistrato durante la sua requisitoria, è finito sotto processo “perchè ha aiutato Fabiano a esercitare un proprio diritto. Non il diritto al suicidio, ma il diritto alla dignità, e il diritto a una morte dignitosa. Perché anche la dignità della morte si inserisce nel principio più ampio della dignità dell’uomo. Sono convinta che se Dj Fabo avesse avuto 30 secondi di piena mobilità, li avrebbe utilizzati tutti per mettere fine alle proprie sofferenze. E per riappropriarsi del proprio diritto alla dignità”. Infatti, se Antoniani si fosse limitato a rinunciare alle cure, staccandosi dai macchinari che lo tenevano in vita, sarebbe andato incontro a una “morte indegna”, costringendo madre e fidanzata di ad assistere alla sua “lenta e dolorosa agonia”.

Uno scenario che avrebbe contrastato con il diritto alla dignità, sancito dall’art. 1 del primo titolo della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, definita dal pm Siciliano “una sorta di Costituzione sovranazionale europea”. Un diritto che “esiste anche in Italia” anche se non è espressamente previsto dalla Carta Costituzionale. Perchè “la dignità è un diritto a poter essere uomo. Forse dignità è anche sinomino di autodeterminazione e libertà. Come fa a esserci dignità senza la libertà di esercitarla?”. E la vita di Fabiano Antoniani dopo l’incidente che nel giugno 2014 lo rese completamente cieco e tetraplegico non era una vita dignitosa: “Cosa c’è di dignitoso – si è chiesto il magistrato – nello stare incollato a un letto, nel dipendere dalla mano pietosa dei parenti, nel vivere immersi nei propri fluidi corporei. Non è una vita dignitosa”. Poi una citazione letteraria: “Mi viene da chiedere ‘Se questo è un uomo’. L’uomo che i padri costituenti italiano hanno ritenuto di porre al fondamento di tutto il nostro ordinamento”. E ancora, alcune riflessioni di carattere giuridico costituzionale: “La nostra è una Costituzione rigida, ma la società cambia velocemente. L’onore era un valore previsto dalla nostra Costituzione al punto tale da giustificare un delitto. Dall’altra parte ci sono ormai diventati cardine anche se non trovano spazio nella Carta Costituzionale, come il diritto alla riservatezza”. Poi una serie di precisazioni sul reato di agevolazione al suicidio: “Risale agli anni Trenta, quando il legislatore non poteva certo immaginare i futuri progressi tecnologici nella medicina. A quel tempo, senza la tecnologia attuale, Fabiano Antoniani sarebbe morto subito dopo l’incidente per infezioni o altre cause”.

Durante il suo intervento in aula, il pm Siciliano ha anche letto un passaggio di “Utopia”, l’opera scritta da Tommaso Moro nel 1516. E ha sottolineato: “Già 500 anni fa ci si domandava se, quando la sofferenza umana è intollerabile, ci fosse il diritto di interromperla”. L’autore, Tommaso Moro, “venne poi giustiziato per le sue idee ma nel 1935 è stato proclamato Santo da Papa Pio XI. Non vorrei che Marco Cappato fosse condannato per poi venire beatificato tra qualche secolo”.

L’accusa si aspetta insomma una sentenza di assoluzione. Ma se così non fosse, ha messo in chiaro il pm Siciliano al termine della sua requisitoria, allora gli atti del processo contro l’esponente Radicale andrebbero trasmessi alla Procura per consentire alla magistratura inquirente di avviare un’indagine anche nei confronti della madre e della fidanzata di Fabiano Antoniani e di tutti quelli che lo aiutarono a ottenere la “dolce morte” in Svizzera.