Lavoro, scuola, ambiente: abito classico per la sinistra ex Pd

Al via i Democratici e progressisti. Leader, non escluse primarie

FEB 25, 2017 -

Roma, 25 feb. (askanews) – Non sono più dem ma dep: la prima uscita pubblica dei Democratici e progressisti, alla città dell’Altra economia di Roma, lontano dai fasti dei palazzi governativi, è più un raduno di vecchi amici. Dirigenti politici, militanti, apparato di partito, vecchie signore, barbuti intellettuali. Dopo l’addio di alcuni a Sinistra italiana, di altri al Pd, si ritrovano insieme, ancora senza un logo ufficiale, senza un leader (a meno di non considerare tali Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, assenti al raduno in zona Testaccio, ma gli altri ci sono tutti, da Guglielmo Epifani a Miguel Gotor, da Davide Zoggia a Nico Stumpo), per lanciare per ora un messaggio: “Il Pd non è più di centrosinistra, ora lo possiamo dire, liberi dalla disciplina di partito”, copyright del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.

Per evitare il temuto acronimo Dp, che ricorda l’antica Democrazia proletaria, si pensa di promuovere Mdp, Movimento democratici e progressisti. Per evitare di essere solo una sigla, c’è l’idea di chiamarsi Articolo 1, col richiamo a quella Costituzione che la maggior parte dei presenti ha difeso votando No nel referendum del 4 dicembre (fa eccezione il Sì di Enrico Rossi, già dimenticato). Per evitare la trappola dell’ex marito che parla solo – male – dell’ex moglie, si punta finalmente a delineare un profilo politico che superi le schermaglie di queste settimane con Matteo Renzi sul congresso del Pd, le sue regole e le sue scadenze. E quindi “le tre fratture” dalle quali nasce la scissione democratica sono sul lavoro, la scuola e l’ambiente: Jobs act, Buona scuola, trivelle, con quella che Roberto Speranza definisce “l’offesa inaccettabile del ciaone”.

Nel manifesto che dovrebbe rappresentare il biglietto da visita della nuova formazione (“Un nuovo inizio, con i nostri valori”) si parla di “centrosinistra plurale”, si richiama la formula dei “beni comuni”, che non portò troppa fortuna nel 2013, si indica un obiettivo: “L’unico modo per arginare l’onda populista è quello di tornare a essere popolari”. La formazione nasce per ora con numeri incerti in Parlamento “ma contiamo di arrivare a una cinquantina fra deputati e senatori”, garantisce il bersaniano di ritorno Alfredo D’Attorre, reduce da una scissione in anticipo sui suoi ex compagni, dato che ha vissuto per un po’ in Sinistra italiana e oggi giura: “Sinistra italiana è qui, qui c’è l’attuazione della promessa del Quirino (un altro ‘nuovo inizio’ già consegnato ai posteri)”. I capigruppo dovrebbero essere Doris Lo Moro al Senato e Roberto Speranza alla Camera, il leader si vedrà poi, alla domanda su possibili primarie interne Roberto Speranza risponde “non lo escludo”.

Nel documento si parla di “movimento aperto, non un partito”. Così aperto che all’inizio dovranno convivere sotto lo stesso tetto parlamentari che sono stati all’opposizione per tutta la legislatura con quelli che hanno votato fiducie a raffica, e la prima prova del fuoco sarà sul decreto Minniti per la gestione dei migranti.

Politicamente, il gioco, un po’ di tutti, è quello di non bruciarsi dietro nessun ponte. E’ anche per questo che Rossi parla di scissione “senza rancori” dal Pd col quale i dep dovranno poi dialogare, è per questo che Massimiliano Smeriglio, ex Sel e braccio destro di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio, ricorda ai presenti che “l’11 marzo è in programma la partenza di ‘Campo progressista’ con Giuliano Pisapia”. Ed è sempre per non bruciare ponti che Stefano Fassina, che non ha seguito Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre nella scissione di Sinistra italiana, si fa ugualmente vedere alla riunione a Testaccio e la saluta calorosamente: “Oggi è una bella giornata per la ricostruzione culturale, politica e di classi dirigenti della sinistra”, scrive su Facebook proponendo “sedi strutturate di confronto programmatico a partire dai tre grandi temi indicati da Roberto Speranza: lavoro, scuola, ambiente”.