Cosa Mattarella non farà dopo il referendum

Scenari

NOV 24, 2016 -

Roma, 24 nov. (askanews) – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sembra ormai diventato – nella competizione politica in atto sulle riforme costituzionali, con il conseguente referendum del 4 dicembre prossimo – il bersaglio di una gara di freccette: tutti tentano di centrare il massimo punteggio. Ma il capo dello Stato non ci sta e rilancia, anche indirettamente e attraverso parlamentari a lui vicini, la palla (la freccetta) nel campo avversario. Tocca alla politica, è il ragionamento che viene ribadito ormai da settimane dal Colle, affrontare le conseguenze della vittoria del Sì o del No al referendum. Un muro, istituzionale ovviamente, eretto per evitare il rischio che le parole del capo dello Stato possano essere strumentalizzate, sia dagli uni che dagli altri.

Da un lato vengono respinti al mittente gli scenari politico-governativi che vedono – con la vittoria del No al referendum ma anche con una supremazia del Sì – lo scioglimento Camere a marzo e incarichi esplorativi conseguenti. Tutto questo, viene sottolineato, non compete al Colle ma al partito che ha la maggioranza parlamentare, il Pd. Dall’altro, sempre parlamentari vicini a Mattarella, definiscono “inverosimile” quanto detto oggi da Silvio Berlusconi – che nei giorni scorsi ha incontrato il capo dello Stato – sulla possibilità che il presidente della Repubblica non consentirebbe elezioni con l’Italicum perchè questo favorirebbe il Movimento 5 Stelle.

E’ evidente il clima di rissa che esiste tra il fronte del No e quello del Sì al referendum e questo crea preoccupazione in Mattarella. E’ un dibattito sterile quello che si sta sviluppando perché, viene ribadito, la responsabilità politica di ciò che accadrà dopo il 4 dicembre è in via principale del partito di maggioranza. Il partito di Renzi dovrà assumersi, è il ragionamento più volte ripetuto, la responsabilità di dichiarare – quale che sia il risultato referendario – eventualmente chiusa la legislatura. Certo, il galateo istituzionale vorrebbe che ci fosse un passaggio parlamentare, con conseguente sfiducia, da parte del governo dimissionario ma ormai tra ‘scrofe’, ‘accozzaglia di partiti’ e ‘killer’ questo desiderio lascia il tempo che trova.

E’ bene ricordare comunque che nessuna legislatura ha visto la sua fine per un referendum perso dalla maggioranza di governo che lo sosteneva. Il capo dello Stato, come da Costituzione, interviene quando non è comprensibile la linea politica del governo ma in questo caso è evidente come qualunque decisione spetti al Pd, che ha una maggioranza assoluta alle Camere. In questi giorni Mattarella ha più volte sollecitato un confronto molto serio sul referendum bollando, riferisce chi ha avuto modo di sentirlo, come “congetture” gli scenari che indicherebbero il seguente percorso: incarico esplorativo a Grasso o Boldrini in caso di dimissioni del governo per fare la nuova legge elettorale. Sarebbe questa una “scelta sorprendente”, viene detto da molti parlamentari, perchè sia il presidente del Senato che quella della Camera non avrebbero alcun giovamento da questo incarico, se non quello di essere buttati via dopo poche settimane per favorire – è l’idea che circola in qualche ambiente – un ritorno di un esecutivo se non guidato da Renzi sicuramente di espressione renziana. Certo, l’attuale premier – che ha con ogni evidenza tirato il freno a mano sulle sue possibili dimissioni in caso di vittoria del No – avrebbe tutto l’interesse a continuare a Palazzo Chigi, per due motivi: il G7 di Taormina a marzo 2017 e le oltre cento nomine (politicamente rilevanti) da fare in Poste, Eni, Enel, Finmeccanica.

L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano venne più volte attaccato per non aver risolto gli incagli politici che gli si presentarono davanti, da molti non considerando però la difficoltà che aveva di cercare una maggioranza ad ogni ‘stormir di fronde’ per fa andare avanti governo, legislatura e Paese nel suo insieme. Mattarella non ha questo problema, ha una maggioranza netta a guida Pd di Matteo Renzi. E’ evidente quindi che il capo dello Stato non sposerà se non costretto la strada delle elezioni anticipate perché il voto referendario non riguarda la legittimità della legislatura ma la riforma della Costituzione. Senza contare che dal punto di vista formale la Costituzione gli impone la verifica, prima dell’eventuale scioglimento del Parlamento, della verifica dell’esistenza di una maggioranza in grado di sostenere il governo.

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