Centrodestra separato in casa, sfida fra Cav e Salvini-Meloni

Lacerazione fra tattica e strategia, guardando a leadership Politiche

GIU 4, 2016 -

Roma, 4 giu. (askanews) – E’ la frase più abusata degli ultimi anni nel centrodestra: “uniti si vince”. Il recente passato, d’altra parte, sostanzialmente lo conferma e pure i sondaggi delle ultime settimane darebbero ragione a questa tesi. E invece, la realtà è che la coalizione si è presentata alla tornata amministrativa più divisa che mai, regalando alle cronache psicodrammi degni di Beautiful, con accordi fatti di mattina e disfatti di notte, improbabili gazebo e candidati cambiati in corsa. Perché la sfida, da locale che doveva essere, è diventata nazionale e – nonostante tutte le smentite del caso – è di fatto una partita per conquistare la leadership, molto più che la poltrona di sindaco.

Questo, almeno, se si guarda a quel che è successo a Roma.Perché a ben vedere in queste elezioni si fronteggiano due diversi modelli di centrodestra, plasticamente rappresentati dalla candidatura di Stefano Parisi a Milano e dalla spaccatura tra il sostegno a Giorgia Meloni e Alfio Marchini che si è verificato nella Capitale. Da una parte tutto il centrodestra unito, compresi Ncd e Corrado Passera, dall’altro una separazione netta tra l’asse nero-verde di Fdi e Lega, e il popolarismo di Forza Italia.

Quali conseguenze, dunque, deriveranno da queste amministrative sull’assetto della coalizione? Nel capoluogo lombardo effettivamente l’unità sembra fare la forza, tanto che il candidato non solo è dato come sicuro pretendente al ballottaggio ma avrebbe anche accorciato le distanze rispetto al suo principale competitor, Beppe Sala. Quello di Milano, tuttavia, è un modello di centrodestra più vicino a Roberto Maroni che a Matteo Salvini che non perde occasione di ripetere che lui a fare alleanze con Alfano non ci pensa proprio, dimenticando provvidenzialmente proprio la ‘sua’ Lombardia. Segno che la necessità di mantenere potere e influenza valgono bene una turata di naso. Lo stesso segretario del Carroccio, poi, si è ben guardato dal candidarsi a sindaco, limitandosi a ‘testare’ il suo gradimento presentandosi come capolista.

A Roma, però, la storia è completamente diversa. E non è un caso. Perché non è lì il core business del segretario leghista e dunque è stato semplice trasformarla in campo di scontro per lanciare ufficialmente a Silvio Berlusconi la sfida per la conquista della leadership del centrodestra. E’ chiaro che se Giorgia Meloni arrivasse al ballottaggio, l’asse nero-verde – che poi rappresenta anche la (ex) nuova generazione contro la vecchia – avrebbe più frecce al suo arco. Lo stesso vale per Silvio Berlusconi nel caso che a conquistare il secondo turno fosse il suo candidato, Alfio Marchini. Se entrambi restassero fuori, tornerebbe di gran moda il tormentone di cui sopra dell’uniti si vince: e d’altra parte il terreno per una prossima battaglia comune già c’è ed è quello del referendum costituzionale.

Una partita a parte è quella che si gioca Giorgia Meloni, di fatto quella che rischia di più perché alla fine – a differenza di Salvini – si è messa in gioco personalmente: se non arrivasse neanche al ballottaggio a Roma è chiaro che le sue ambizioni nazionali per il futuro dovrebbero essere ridimensionate.

Quel che è certo, è che il tentativo di Matteo Salvini di togliere la leadership del centrodestra al capo di Forza Italia non finirà con la tornata amministrativa. Come ha scritto nel suo libro, infatti, “Berlusconi non è più il leader”, “tocca a me l’onore e l’onere di guidare l’opposizione contro il Pd”.