Caso Regeni, Casini: da egiziani vogliamo verità, non false piste

"Non arretrare di un millimetro, continuare a richiedere giustizia"

MAR 26, 2016 -

Roma, 26 mar. (askanews) – “Capisco le difficoltà degli egiziani, ma servire ai media una pista così improbabile, con i rapinatori – guarda caso – tutti morti e con i documenti di Giulio Regeni che – guarda caso – ricompaiono intatti a casa della sorella di uno dei presunti assassini, è uno schiaffo all’asserita volontà di cooperazione”. E’ quanto afferma il presidente della Commissione esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, in un’intervista al “Resto del Carlino”.

“La Procura di Roma è guidata da magistrati non politicizzati e certamente non sospettabili di certificare verità di comodo. Proprio le difficoltà e le reticenze incontrate al Cairo dai nostri investigatori rendono evidente l’imbarazzo della controparte”, aggiunge Casini, secondo il quale nella vicenda “il nostro comportamento è ineccepibile”.

“Di una verità sono certo: non può essere stato il generale al-Sisi né la sua diretta catena di comando a macchiarsi di un delitto così efferato. Appartiene invece al tragico gioco delle possibilità che apparati interni del regime possano aver commesso un imperdonabile errore. Qualsiasi verità, pur amara, sarebbe comunque preferibile a una verità di comodo”, prosegue l’esponente dell’Udc, che a chi gli domanda poi quali carte abbia l’Italia, risponde così: “Solo una: non arretrare di un millimetro e continuare a richiedere giustizia. Il giorno in cui cederemo o ci accontenteremo, avremo perso la partita. Una partita in cui non siamo soli. Vigilano – tutti insieme – il Parlamento europeo, l’opinione pubblica internazionale, il network delle più prestigiose università che fanno ricerca sociale e vedono in Giulio Regeni un martire della conoscenza”.

“Renzi – continua Casini – ha ben presenti i valori in gioco. Questo caso è drammaticamente serio. Però sarebbe imperdonabile utilizzarlo nel mercato della politica quotidiana”. Qual è il limite alla realpolitik? “La dignità nazionale, che non può essere offesa”.

Perché Giulio Regeni è stato ucciso? “Perché qualcuno ha pensato che la sua appassionata e documentata attività di ricerca universitaria potesse essere una minaccia”. E quanto durerà ancora il braccio di ferro Italia-Egitto? “La solidarietà arrivata dalle università di tutto il mondo, con l’appello firmato da 4600 accademici, testimonia che l’attenzione sul caso travalica i due Paesi e non si spegnerà. L’Egitto dica la verità. È in gioco la sua credibilità. Se non esce da questa storia con le mani pulite – conclude l’ex presidente della Camnera – il regime di al-Sisi si dimostrerà inaffidabile. E vulnerabile”.