Caso Consulta innesca deflagrazione Fi. Scontro Brunetta-Romani

Capigruppo nel mirino. Azzurri non votano su mozione anti-Boschi

DIC 17, 2015 -

Roma, 17 dic. (askanews) – Lo scontro “in piazza” tra i due capigruppo è solo la punta dell’iceberg. Quello che si vede è Paolo Romani che, in un paio di interviste, attacca pubblicamente il collega della Camera, Renato Brunetta, per la gestione dell’affaire Consulta. Ma quello che c’è sotto è molto di più: è un partito in stato di malessere perenne, in cui ogni scusa è buona per dividersi. E così il fatto che alla fine Forza Italia si sia ritrovata con un pugno di mosche in mano nella partita sui giudici costituzionali ha finito per fare da innesco in una situazione già a un passo dall’esplosione. Tanto che, per l’eterogenesi dei fini, la stessa presidenza del gruppo di Romani è finita nel mirino.

Mentre Silvio Berlusconi si siede a tavola con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cerca i candidati per le amministrative e parla di unità del centrodestra, gli azzurri alimentano le loro faide interne ormai su tutto. D’altra parte, con l’avvio del licenziamento collettivo dei dipendenti e la chiusura delle sedi, Forza Italia è diventata a tutti gli effetti un partito “virtuale”, come l’ha definito la tesoriera Maria Rosaria Rossi. L’evanescenza ormai è prossima alla dissolvenza, l’assenza di una linea univoca fa il resto.

Negli ultimi giorni, per la verità, lo scontro covava sotto la cenere. L’annuncio di Renato Brunetta sulla presentazione da parte di Forza Italia di una mozione di sfiducia al ministro Boschi, come proclamato dai grillini e come gradito alla Lega, aveva già messo i gruppi in subbuglio e riaperto una diaspora tra Camera e Senato. Alla fine, per evitare platetali spaccature, si è deciso di presentare una mozione contro il governo tutto. Ma Brunetta avrebbe voluto comunque Forza Italia votasse la mozione dei pentastellati. Sarebbe finita male e Silvio Berlusconi lo ha capito. E per questo ieri da Bruno Vespa ha spiegato che gli azzurri non parteciperanno al voto. Meglio stare tutti fuori, insomma: l’unico modo per evitare una conta che avrebbe rischiato di diventare imbarazzante.

Il presidente dei deputati resta comunque nel mirino. D’altra parte, appena due settimane fa era di fatto finito sotto processo: contro di lui era partita una raccolta firme, era stata convocata un’assemblea in cui Elio Vito aveva chiesto che si votasse per il rinnovo dei vertici. Era finita che Brunetta era stato un po’ depotenziato e che si era deciso di togliergli dalle mani il “giocattolino” del “Mattinale” (cosa peraltro non ancora avvenuta). Oggi, però, in un’intervista è lo stesso Elio Vito a sostenere che il problema non è affatto il modo in cui il capogruppo ha gestito la partita dei giudici costituzionali. “La verità – afferma – è che il Pd aveva in caldo l’accordo con i 5 Stelle da tempo: la storia della lite con Renzi è soltanto un pretesto”.

Nei capannelli in Transatlantico la questione regna sovrana: “Serve più democrazia nella gestione”, è il refrein. “Ritengo necessario ed urgente – afferma il senatore Altero Matteoli – mettere mano all’organizzazione del partito che non può procedere ancora in modo estemporaneo, sulla base di prese di posizione e decisioni di singoli”. Molto più esplicita la deputata Laura Ravetto. “La vera abilità di Renzi – è la sua analisi – è quella di infilarsi come un cuneo nelle difficoltà degli altri partiti”, “c’è una soluzione, al Senato come alla Camera, non si può mettere in discussione il solo Brunetta, ora iniziamo a parlare di elezione democratica dei due capigruppo”. Insomma, anche Romani si ritrova in ballo. Nel suo caso, tuttavia, l’accusa è opposta: essere troppo filo-governativo. Come sempre si attende che una parola chiara arrivi da Berlusconi. Il quale, sarebbe tentato da tempo di cambiare i vertici dei gruppi ma sa che il minimo spostamento di una pedina innescherà altre scintille ed altre esplosioni.