Camera approva ddl diffamazione, via il carcere per i giornalisti

Multe fino a 50 mila euro e interdizione. Testo torna in Senato

GIU 24, 2015 -

Roma, 24 giu. (askanews) – L’aula della Camera ha approvato le nuove norme sulla diffamazione a mezzo stampa con 295 sì, 3 no e 116 astenuti. Il testo, che elimina la pena della reclusione in carcere per i giornalisti prevedendo solo pene pecuniarie con l’obbligo di rettifica senza commento a favore dell’offeso, torna al Senato per il quarto passaggio parlamentare.

A Montecitorio sono state soppresse la norma in base alla quale è il direttore a rispondere degli articoli non firmati e quella sul cosiddetto diritto all’oblio, il diritto cioè a eliminare dai siti e dai motori di ricerca le informazioni diffamatorie. Ecco, in sintesi, i punti principali che riguardano anche le testate online.

STOP AL CARCERE. Niente più carcere per chi diffama a mezzo stampa ma esclusivamente una multa che va dai 5mila ai 10mila euro. Se il fatto attribuito è però consapevolmente falso, si applica la multa da 10mila a 50mila euro. Alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione. La rettifica tempestiva sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità.

RETTIFICA SENZA COMMENTO. Rettifiche o smentite, purché non inequivocabilmente false o suscettibili di incriminazione penale, devono essere pubblicate senza commento e risposta menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo ritenuto diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l’autore del servizio. Tempi e modalità della pubblicazione in rettifica variano a seconda dei diversi media. Se però vi è inerzia, l’interessato può chiedere al giudice un ordine di pubblicazione (per il cui mancato rispetto scatta una sanzione amministrativa da 8mila a 16mila euro).

RISARCIMENTO DANNO. Nella diffamazione a mezzo stampa il danno sarà quantificato sulla base della diffusione e rilevanza della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione.

RESPONSABILITA’ DEL DIRETTORE. Fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono a titolo di colpa se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione, la pena è in ogni caso ridotta di un terzo. E’ comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l’omessa vigilanza l’interdizione dalla professione di giornalista. Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.

LITI TEMERARIE. In caso di querela temeraria, il querelante può essere condannato anche al pagamento di una somma da mille a 10mila euro in favore della cassa delle ammende. Chi invece attiva in malafede o colpa grave un giudizio civile a fini risarcitori rischierà, oltre al rimborso delle spese e al risarcimento, di dover pagare a favore del convenuto un’ulteriore somma determinata in via equitativa dal giudice che dovrà tenere conto dell’entità della domanda risarcitoria.

NORMA SALVA-GIORNALISTI. A meno che non si tratti di diffamazione dolosa, quanto pagato dal direttore o dall’autore della pubblicazione a titolo di risarcimento del danneggiato avrà natura di credito privilegiato nell’azione di rivalsa nei confronti del proprietario o editore della testata. La norma cosiddetta salva-giornalisti è stata estesa durante l’esame in aula a tutti gli autori di pubblicazioni.

SEGRETO PROFESSIONALE. Non solo il giornalista professionista ma ora anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle proprie fonti.

INGIURIA/DIFFAMAZIONE. Anche per l’ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica. La pena pecuniaria è aggravata se vi è attribuzione di un fatto determinato. Risulta abrogata l’ipotesi aggravata dell’offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.