Duri Pd preparano altri fronti ma per Renzi non hanno seguito

Non si ferma battaglia dissidenti,Premier convinto resteranno soli

APR 30, 2015 -

Roma, 30 apr. (askanews) – La battaglia della minoranza Pd, o meglio dell’ala dura delle minoranze, non si ferma sull’Italicum e già sulla riforma della scuola si valuta una nuova offensiva. I numeri non sono quelli evocati nelle scorse settimane, ma Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi e gli altri 36 che non hanno votato le fiducie non si sentono sconfitti perché sapevano da tempo che al momento della conta Area riformista si sarebbe spaccata. La lotta interna, però, continuerà, almeno questa è l’intenzione dell’ala più intransigente. Un disegno che Matteo Renzi ritiene velleitario, secondo quanto riferiscono parlamentari a lui vicini, che confidano su un ulteriore assottigliamento delle truppe di Bersani e Bindi quando la guerriglia al governo diventerà quotidiana.

“Ci sono molti settori della società in fermento – diceva oggi uno dei 38 dissidenti – dopo l’Italicum guarderemo a quei temi, a cominciare dalla riforma che Renzi chiama della ‘buona scuola’”. Non a caso, un provvedimento contro il quale è stato già proclamato lo sciopero. La “regressione democratica” non riguarda solo la legge elettorale, racconta un parlamentare Pd che Massimo D’Alema starebbe ormai spiegando ad ogni riunione con parlamentari e dirigenti Pd della minoranza che Renzi “va fermato” e la stesso sembrano ormai pensare molti degli irriducibili che in questi giorni non hanno votato la fiducia.

Alla buvette della Camera, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre hanno parlato a lungo con il capogruppo di Sel Arturo Scotto, che cercava di individuare una linea di azione comune già lunedì prossimo, in occasione del voto finale sulla riforma elettorale. Le opposizioni, infatti, hanno annunciato l’intenzione di uscire dall’aula, per evitare che con il voto segreto possano arrivare a Renzi soccorsi azzurri o persino grillini. La minoranza Pd, invece, voleva mettere agli atti il no alla riforma elettorale. Fassina, quando gli è stato chiesto quale sarà il comportamento sul voto finale ha risposto: “Vedremo”. Nessuno pensa che i numeri possano cambiare significativamente, “potranno essercene una decina che hanno votato la fiducia con il mal di pancia e poi votano contro, non di più”, prevede lo stesso D’Attorre.

La battaglia, dunque, si proietta già sul dopo, a partire dalla scelta del nuovo capogruppo. Ettore Rosato, il vicario che regge il gruppo Pd e attualmente il più accreditato per succedere a Speranza, ha convocato la riunione del gruppo per la prossima settimana. Non è ancora chiaro, però, quale carta proverà a giocare Renzi: da un lato, c’è l’idea di provare a ripetere lo schema-Speranza con uno degli esponenti della minoranza “responsabile, si parla di Enzo Amendola, di Cesare Damiano, di Matteo Mauri. Nomi che, però, potrebbero trovare parecchia ostilità non solo da parte degli ormai ex compagni di battaglia della minoranza ma anche dal fronte franceschiniano, che sostiene appunto Rosato. Qualcuno, poi, fa anche i nomi di Andrea Martella (che appartiene alla maggioranza e che avrebbe dalla sua un curriculum da ex Ds) e di Emanuele Fiano.

La vera sfida, però, ricomincerà subito dopo. “Altro che 38 – pronostica un parlamentare renziano – se scelgono la strada della guerriglia al governo su ogni tema, ne restano molti meno”. Ma i numeri, ribatte un bersaniano, “contano relativamente. Intanto, 38 non mi sembrano pochi. E in ogni caso, ci sono dentro Bersani, Bindi, Epifani, Speranza… Due ex segretari del Pd, l’ex capogruppo, un ex ministro”. Soprattutto, un parterre che si salda, appunto, con l’opposizione sociale, con il sindacato della Cgil, come lascia intendere Speranza “Quando sento giudizi negativi del segretario generale della Cgil sul Pd, quando vedo Bondi che vota il Def e la fiducia e sento che Verdini fa un gruppo di senatori che si avvicinerebbe al Pd… Allora mi interrogo in maniera inquieta perché penso che il Pd debba restare un grande partito di centrosinistra alternativo al centrodestra”.

Alcuni, come Pippo Civati, annunciano una probabile uscita dal Pd nei prossimi giorni. Altri, come Stefano Fassina, stanno valutando. Ma è certo che la minoranza del partito proverà a questo punto a giocare di sponda con Cgil, Sel e tutto ciò che è a sinistra del Pd. Si troveranno soli, è il ritornello dei renziani. Ma, di sicuro, l’approvazione dell’Italicum è solo l’inizio del duello.