## Libia, dubbi degli ex ministri: solo Martino per l’intervento

Terzi: serve strategia politica. Fini: Europa faccia la sua parte

FEB 17, 2015 -

Roma, 17 feb. (askanews) – Il dibattito sulla crisi libica e il possibile ruolo militare dell’Italia per contenere l’espansione delle milizie dello Stato islamico “richiama” in servizio gli ex ministri degli Esteri italiani. In tre interviste rispettivamente al Corriere della Sera, al Tempo e al Mattino, dicono la loro Antonio Martino, Giulio Terzi e Gianfranco Fini. Per il forzista Martino, in carica alla Farnesina nel primo governo Berlusconi (poi alla Difesa dal 2001 al 2006) “in Libia l’intervento militare è inevitabile. E non capisco – dice – cosa significhi l’attesa di ‘un forte mandato Onu’: se l’intervento è necessario per gli interessi dell’Italia non vedo perché dovremmo chiedere permesso all’Onu…”. Martino critica i segnali contrastanti sul tema inviati dai componenti del Governo: “Prima di parlare, in crisi come questa, occorre – sostiene – un Consiglio dei ministri che concordi la strategia comune, importante soprattutto per l’immagine all’estero”.

Giulio Terzi, diplomatico di carriera, ministro all’epoca di Monti, parte dall’analisi dello scontro nel mondo arabo-islamico: “E’ un conflitto tra mondo sunnita e sciita, nato nel ’79 con la rivoluzione khomeinista e con le ossessioni reciproche iraniane e saudite di insicurezza regionale se uno dei due paesi non avesse avuto il predominio sull’altro. Noi europei e americani abbiamo fatto degli errori che hanno contribuito all’incendio nel quale ci troviamo, soprattutto nel 2003, quando si è pensato di cambiare regime in Iraq senza un piano politico”. Quanto alla Libia, “è necessaria – afferma l’ex ministro – una strategia coerente tra europei, americani e gli arabi di quella parte, che sono l’80 per cento della Lega Araba, 20 paesi su 22, che già fanno parte della coalizione anti-Isis. Ma non basta avere un piano militare, che sarà onerosissimo, con un enorme spiegamento di forze. Sarebbe un errore farlo senza una strategia e degli impegni politici. Mi auguro che l’azione che si sta facendo contro l’Isis in Iraq e in Siria possa essere combinata con l’inclusione delle componenti sunnite, altrimenti nessuna forza al mondo potrà impedire che il problema si ripresenti fra pochi anni. La situazione non può essere risolta solo con i bombardamenti”, conclude.

“Spero – dice dal canto suo Fini – che Renzi abbia ben chiaro cosa c’è dopo il ma”. A giudizio dell’ex leader di An “è arrivato il momento di battere forte i pugni sul tavolo e di pretendere che l’Europa faccia la sua parte. Perché la situazione è grave” ma “non ci si può illudere pensando che l’alternativa sia ancora tra azione diplomatica e intervento militare. In Libia sono mesi che l’inviato dell’Onu Leon cerca una via qualsiasi per ricomporre la frattura tra il governo di Tobruk e quello di Tripoli. Fatica vana: per le milizie armate che si combattono in una guerra civile le esortazioni del palazzo di vetro sono chiacchiere al vento a fronte delle antiche rivalità tribali e dei grandi interessi petroliferi in campo”. Fini è cauto anche sull’ipotesi di un intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite. La strada giusta, dice ancora Fini, sarebbe “quella di una forza multinazionale composta da Paesi europei e dell’Unione africana, egiziani e algerini in primis. Ma viene anche da pensare a cosa potrebbe accadere se, per la paura di gravi contraccolpi interni, nessun Paese arabo musulmano accettasse di far parte della missione…”.