Quirinale: da Napolitano a Napolitano, resta il Presidente ‘politico’

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(askanews) – Roma, 20 apr – Il Capo dello Stato e’ ancora lui,Giorgio Napolitano. Caso unico nella storia repubblicana delnostro Paese, il Presidente della Repubblica uscente coincidecon il Presidente neoeletto. Le condizioni che hannomantenuto Napolitano al Quirinale sono particolarmentecomplesse e non e’ quindi facile capire quale sara’l’atteggiamento del Capo dello Stato (ritornato ad averepieni poteri) nei confronti del sistema politico italiano. Unsistema che ha mostrato una volta di piu’ – proprio inoccasione dell’elezione della piu’ alta magistratura delloStato – tutti suoi limiti e le sue incapacita’, la sualontananza dalla societa’ e dalle sollecitazioni che laattraversano. Ma sicuramente non e’ sbagliato pensare che ilNapolitano ‘politico’ dei primi sette anni continuera’ adessere tale anche in questo secondo mandato. Quello che avrebbe dovuto chiudersi con l’elezione delnuovo Capo dello Stato e’ stato forse il settennato piu”politico’ della Repubblica. Sette anni nel corso dei qualiil primo Presidente della Repubblica ex comunista ha lavorato- sempre nei limiti postigli dalla Costituzione, e’ benericordarlo – per garantire solidita’ al quadro politicoitaliano (in perenne fibrillazione, dalle vicendeberlusconiane alle intemperanze leghiste per arrivare allosbarco in Parlamento delle forze di Beppe Grillo) estabilita’ nei riguardi degli impegni assunti dal Paese versol’Unione europea, a partire da quelli di bilancio.

Un’attivita’ non meramente notarile, caratterizzatadall’aver messo a disposizione del bene comune quellecompetenze, quelle capacita’ maturate in tanti anni di vitapolitica di primo piano (figura eminente del Pci, deputato,presidente della Camera, ministro dell’Interno, senatore avita) e di attivita’ internazionale di rilievo (ministro’ombra’ degli Esteri del Pci, membro dell’Assembleadell’Atlantico del Nord, primo dirigente Pci invitato negliUsa, parlamentare europeo, presidente della commissioneAffari istituzionali del Parlamento europeo). Di fronte alfallimento dei partiti – o quanto meno alla loro incapacita’di adeguarsi alle nuove sollecitazioni provenienti dallasocieta’, frutto anche della drammatica crisieconomica-finanziaria – la figura del Capo dello Stato si e’posta, o e’ stata percepita, come il vero punto diriferimento del nostro Paese. Un Napolitano ovviamenteestraneo alla lotta politica ma che non ha esitato, quandonecessario, a richiamare i giocatori in campo al rispettodelle regole: intervenire direttamente, come per la nascitadel governo Monti o come con l’istituzione di due commissionidi ‘saggi’, chiamati a formulare una piattaforma di proposteistituzionali ed economiche. Una mossa, quest’ultima, resasinecessaria per uscire dallo stallo nella formazione del nuovogoverno generato (ed evidentemente ancora non risolto, vistolo svolgimento dell’elezione del nuovo Capo dello Stato)dall’inconcludente esito elettorale. Le proposte, messe apunto e consegnate nei giorni scorsi a Napolitano, sembravanoa molti destinate a rimanere puro esercizio accademico. Macon la rielezione del Presidente appaiono destinate a tornaredi attualita’ e a diventare quel punto di riferimento perl’azione del nuovo governo che Napolitano voleva fossero. Non certo una ‘Repubblica del Presidente’ ma un settennatoqualificato da una sua costante presenza su tutte lequestioni che significativamente hanno attraversato il suomandato.

D’altronde e’ stato lo stesso Napolitano, con parolepronunciate lo scorso novembre, a dare la cifra del suoruolo: ”Sono convinto” che ”quando i nostri padricostituenti hanno scritto la carta fondamentale non hannoimmaginato per il Capo dello Stato un ruolo che sirisolvesse, come si dice per i re in altri paesi, neltagliare i nastri alle inaugurazioni” e quindi ”ho ritenutoche il Presidente della Repubblica, secondo la nostraconcezione istituzionale, dovesse prendersi delleresponsabilita’ senza invadere campi che non sono suoi”;”credo di dovere sempre cercare di interpretare esigenze einteressi generali del paese anche in rapporto a scelte digoverno che rispetto, perche’ non posso assolutamentesostituirmi a chi ha la responsabilita’ del potere esecutivo,ma che possono rientrare in un dialogo al quale intendo dareil mio contributo”.

Durante i sette anni di Napolitano si sono dati il cambioa Palazzo Chigi Romano Prodi, Silvio Berlusconi e MarioMonti. Tre governi diversissimi tra loro, per composizione eper provenienza politica, ma nei confronti dei quali il Capodello Stato ha assunto lo stesso atteggiamento, senza faresconti quando e’ stato necessario e dando sostegno quando e’servito, ma sempre avendo bene in mente le parole pronunciateil 15 maggio 2006, nel suo discorso di insediamento davantile Camere: ”Saro’ il Presidente di tutti, non della solamaggioranza che mi ha eletto”.

E’ con questo spirito che Napolitano ha affrontato lequestioni piu’ delicate che gli si sono via via presentatedavanti, a cominciare da quelle giudiziarie. Nella primaveradel 2007, in qualita’ di Presidente del Csm richiede allostesso organo di autogoverno della magistratura di visionareil fascicolo del pm Henry John Woodcock, titolaredell’indagine su Vittorio Emanuele di Savoia. Successivamenteinvita piu’ volte ad interrompere la ”guerra tra procure”in atto tra le sedi di Salerno e Catanzaro nell’ambitodell’indagine Why Not alla quale lavora, tra gli altri, il pmdella citta’ calabrese Luigi de Magistris. E’ invece del 2012il caso delle intercettazioni da parte della Procura diPalermo, svolte nell’ambito dell’indagine sulla presuntatrattativa Stato-Mafia e che vede coinvolti, tra gli altri,l’ex ministro Nicola Mancino. Intercettazioni – relative atelefonate di Mancino che coinvolgono, sia pureindirettamente, lo stesso Napolitano e il consiglieregiuridico del Colle, Loris D’Ambrosio (che muore d’infarto) -che provocano il ricorso (poi vinto) alla Consulta perconflitto di attribuzione da parte del Quirinale contro laProcura siciliana.

Ma non solo di giustizia si occupa il Capo dello Stato.

Gli appelli alle forze politiche a riforme condivise sono unacostante dei suoi interventi. In particolare, la sua ‘moralsuasion’ verso i partiti perche’ abbandonino il permanenteclima di scontro ha tra gli obiettivi principali – quasipresago della ingovernabilita’ prodotta dalle elezioni senzavincitori del 25 febbraio scorso – quello della riforma dellalegge elettorale.

Inviti caduti nel vuoto.

C’e’ poi il capitolo dei rapporti con Silvio Berlusconipremier. Rapporti se vogliamo nati male perche’ ilcentrodestra non voto’ Napolitano, contestando il fatto chedopo l’elezione di ”uomini della sinistra” come Marini eBertinotti alla guida di Senato e Camera, al Quirinale andavaun ex comunista. Una dialettica tra i due particolarmentedura ma che non impedisce al capo dello Stato di firmare ilLodo Alfano (bocciato pero’ successivamente dalla Consulta) eil legittimo impedimento. Da ricordare anche lo scontro sulcaso Englaro, quando Napolitano fa sapere a Palazzo Chigi chenon avrebbe firmato il decreto che impediva ai medici disospendere l’alimentazione forzata alla giovane Eluana.

Arrivano poi la crisi economica-finanziaria e ledrammatiche difficolta’ dell’Italia. Berlusconi si dimette enasce il governo tecnico di Monti, voluto fortemente dalPresidente della Repubblica (che due giorni prima di darel’incarico nomina l’ex professore della Bocconi senatore avita). Napolitano affianca e sostiene il governo fino allafine, anche in presenza di alcune frizioni con il premier. Inogni caso il Capo dello Stato non perde occasione perricordare, in ogni suo intervento pubblico, l’importanza delnostro rapporto con l’Unione europea e il ruolo primariodell’Italia nella politica dell’Ue. Ma il lavoro diNapolitano non si esaurisce con questo o quel discorso ma conlo sviluppo di quei numerosi contatti internazionali che perruolo istituzionale e’ tenuto ad avere. Ecco allora cherassicurazioni sullo stato di salute dell’Italia arrivano neisuoi incontri con i partner europei e con i leader mondiali.

Una presenza, quella sulla scena internazionale, che porta lasua popolarita’ a livelli altissimi, al punto che per il NewYork Times e’ ”King George”, con chiaro riferimento al rebritannico Giorgio VI, per la sua ”maestosa” difesa delleistituzioni italiane.

Una popolarita’ che ovviamente e’ meno che mai indiscussione sul territorio nazionale. Il settennato diNapolitano coincide con l’anniversario dei 150 annidell’Unita’ d’Italia e questo rappresenta l’opportunita’ – incontinuita’ con l’azione del suo predecessore Carlo AzeglioCiampi – per rinsaldare lo spirito di coesione nazionale inun momento di grande difficolta’ per il paese, respingendo(per la verita’ senza particolare affanno) pulsionilocalistiche o separatistiche come quelle messe in campo perl’occasione dalla Lega Nord.

Insomma un settennato complesso, gestito con vigore erigore da questo signore napoletano d’altri tempi, che haavuto il merito di tenere unito il paese laddove avvenimentiparticolari o calcoli politici rischiavano di produrrerotture. Un presidente applaudito in tutte le piazzed’Italia, indipendentemente dai colori politici locali.

L’auspicio e’ che continui ad essere cosi’ e che almenointorno alla figura del Capo dello Stato, di questo Capodello Stato, l’acrimonia, la polemica politica – che sembranoormai farla da padrone nella cronaca giornaliera – venganomesse da parte.

fdv/sat