Giappone, Kishida: è ora di uno strutturale aumento dei salari

Il concetto del "nuovo capitalismo" però si trova di fronte a sfide

OTT 27, 2022 -

Roma, 27 ott. (askanews) – Il Giappone deve ripartire da uno “strutturale aumento dei salari”. Fumio Kishida ha sottolineato questo concetto oggi, parlando al forum ReIWA – Reinventing Infrastructure fo Wisdom and Action a Tokyo, parlando di fronte a una platea di uomini d’affari e di economisti e illustrando il suo concetto di “nuovo capitalismo”. “Con la fine dell’anno ci avviamo al momento della verità rispetto all’implementazione del nuovo capitalismo e delle politiche che abbiamo messo in campo in diversi campi. E, nel concretizzarli, la massima priorità va data a uno strutturale aumento dei salari”, ha affermato Kishida. “L’attuale società economica è entrata in un’epoca in cui, da una trasformazione con una rapidità senza precedenti, emerge gradualmente una discontinua innovazione. Il fatto che nei settori in crescita si sviluppa un’agile mobilità del lavoro, possiamo realizzare crescita economica e aumenti salariali”, ha continuato il primo ministro nipponico. Kishida ha lanciato un anno fa la sua nozione di “nuovo capitalismo” in un discorso a Londra. Il premier nipponico con questa formula indica una terza trasformazione dopo quella dal capitalismo del laissez-faire al welfare state e dal welfare state al neoliberismo. Se nelle prime due transizioni il pendolo aveva oscillato tra stato e mercato, il “nuovo capitalismo deve riuscire a conciliare questi due opposti facendo sì che si sostengano a vicenda e creino un circolo virtuoso di crescita e redistribuzione della ricchezza. Perché questo avvenga, nella concezione del premier nipponico, è necessario investire sul capitale umano, liberare forza lavoro femminile (un tema particolarmente sentito in Giappone, dove la partecipazione femminile a lungo termine è piuttosto bassa), finanziare l’economia green, digitalizzare il governo e promuovere le startup e le iniziative imprenditoriali giovanili e innovative. I critici di questo approccio vedono un tentativo di Kishida di tornare alle strategie di crescita del boom economico giapponese, tentativo destinato a fallire perché rispetto ad allora il contesto economico globale è completamente cambiato. Kishida è arrivato a questa idea dopo aver criticato la politica economica dell’ex premier Shinzo Abe, la cosiddetta “Abenomics”, sulla base del fatto che questa ha esacerbato la forbice tra ricchi e poveri in un paese, il Giappone, che tradizionalmente non apprezza questo tipo di differenziazioni. L’attuale premier ha anche proposto di alzare la tassa sui capital gain dall’attuale 20 per cento, salvo poi fare marcia indietro. Il primo ministro, in realtà, ha bisogno di portare risultati. Il suo consenso nel paese è arrivato – secondo i sondaggi – sotto la soglia critica del 30 per cento e le conseguenze dell’alto costo dell’energia, innescato anche dal conflitto in Ucraina, e del super-dollaro che ha portato lo yen al cambio più basso in un quarto di secolo, sta mettendo pressione sulle famiglie che potrebbero reagire tagliando i consumi. Non solo. La forza lavoro giapponese sta crollando come effetto della crisi demografica. Il 28 per cento dei giapponesi ha più di 65 anni, la natalità è a livelli record negativi. A peggiorare le cose l’ostilità della politica nipponica all’immigrazione, che non permette di portare energie fresche nel paese.