La diplomazia del “Lupo Guerriero”: come la Cina di Xi si presenta al mondo

Ambasciatori, consoli e portavoce intervengono con piglio aggressivo

OTT 20, 2022 -

Roma, 20 ott. (askanews) – Il console generale cinese a Manchester Zheng Xiyuan forse ha preso un po’ troppo alla lettera i dettati della “Wolf Warrior Diplomacy” (“Zhan Lang Waijiao”, “Diplomazia del lupo guerriero”), quando ha apparentemente preso per i capelli un manifestante hongkonghese che protestava davanti al suo consolato per trascinarlo dentro e pestarlo ben bene, con altri colleghi, prima che glielo strappassero di mano i poliziotti. E probabilmente oggi il viceministro degli Esteri Ma Zhaoxu non intendeva difendere proprio questo approccio manesco quando oggi, a margine del XX Congresso del Pcc a Pechino, ha detto che “la diplomazia cinese continuerà a mostrare spirito di lotta, migliorerà la nostra capacità di combattere, sarà sempre pronta in prima linea per proteggere il nostro interesse nazionale e la nostra dignità”. Certo è che le ambasciate cinesi nel mondo sono oggi molto assertive e verbalmente aggressive nel costruire una narrativa favorevole a Pechino. La definizione “Wolf Warrior Diplomacy” viene da un film: “Wolf Warrior” (“Zhan Lang”), diretto e interpretato nel 2015 dalla star Jacky Wu (Wu Jing), il cui protagonista è un eroico soldato cinese che combatte contro i cattivi narcotrafficanti, ovviamente stranieri. Sostanzialmente, con questa definizione un po’ pop si suole indicare lo stile diplomatico adottato sotto la presidenza di Xi Jinping. I diplomatici cinesi e i portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, che tengono quotidiane conferenze stampa, in pratica partono a testa bassa contro ogni affermazione percepita come una critica rispetto alla Cina. Per poterlo fare, esercitano un monitoraggio costante dei media, ma marcano anche stretto i social network. Il tutto per costruire un controcanto rispetto ai grandi media occidentali, una narrazione assertiva e reattiva che fa parte di un disegno definito dal presidente Xi come “Diplomazia da grande Paese” (Daguo Waijiao). La definizione “Wolf Warrior Diplomacy” è divenuta piuttosto popolare all’inizio della pandemia Covid-19, che esplose a Wuhan e questo mise Pechino nel mirino di dure critiche, respinte dalla sua diplomazia con molta asprezza. La “Wolf Warrior Diplomacy” si discosta nettamente dai dettami di politica estera che Deng Xiaoping – il leader cinese che guidò il paese all’apertura al mondo esterno – mise sul tavolo con la formula “nascondere la luce, coltivare nel buio” (“taoguang yanghui”), in altre parole: “Celare i propri punti di forza, per aspettare il momento adatto”. Un approccio che preferiva un dialogo collaborativo allo scontro retorico. Uno dei casi più forti di questo stile comunicativo si verificò quando il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian sul suo profilo Twitter mostrò un fotomontaggio che mostrava un soldato australiano nell’atto di sgozzare un bambino afgano, in seguito alla pubblicazione di un rapporto che denunciava i crimini di truppe di Canberra nel paese centro-asiatico. Il premier australiano Scott Morrison giudicò “ripugnante” il post.