Pedde: Iran a un bivio, “il caso Amini è solo miccia di un profondo malcontento”

Intervista ad askanews del Direttore Institute for Global Studies

OTT 19, 2022 -

Roma, 19 ott. (askanews) – “L’Iran è il Paese meno monolitico della regione, con una pluralità di posizioni al suo interno” che impone una lettura più articolata di quanto sta avvenendo in queste ultime settimane, sia sul fronte interno che su quello internazionale. Perché, ha detto ad askanews Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, se è vero che assistiamo da ormai un mese a proteste di piazza innescate dalla morte di Mahsa Amini, di fatto la questione del velo “è stata la miccia, ha agito da detonatore di un malcontento molto più profondo che non interessa solo le donne, ma tutta la popolazione iraniana”. E qualora la protesta, che oggi vede protagonisti soprattutto i giovani, riuscisse a coinvolgere altre fasce della popolazione, questo potrebbe accelerare la transizione tra la prima e seconda generazione al potere in modo “meno soft di quanto previsto inizialmente”. Perché “il vero problema in Iran oggi”, secondo il direttore dell’Institute for Global Studies, “è che c’è una fortissima polarizzazione tra queste due generazioni al potere, che hanno idee molto diverse”, anche per quanto riguarda il ruolo dell’Iran nel mondo, con la seconda che pensa “di risolvere i problemi del Paese” guardando a Russia e Cina, anche a costo di far saltare l’accordo sul nucleare iraniano. LE PROTESTE DI PIAZZA All’interno dell’Iran, ha sottolineato Pedde, “la questione del velo è ovviamente sentita, ma è diventato il pretesto per qualcosa di più grande, è stato un elemento scatenante, non è il cuore di questa protesta”, che vede protagonisti i giovani che “chiedono un cambio di passo su una gamma più vasta di rivendicazioni, che vanno dall’occupazione alla lotta alla corruzione, al fatto di non avere prospettive”. Ma “sembrerebbe esserci anche una capacità di includere anche altre componenti della società”, nonostante manchi una leadership della mobilitazione, che potrebbe evitare che “tutto rientri sotto controllo”. Alla domanda su quale possa essere allora l’esito di tale mobilitazione, Pedde ha tenuto a rimarcare che “il vero problema in Iran è che c’è una fortissima polarizzazione tra la prima e la seconda generazione al potere, due generazioni che hanno idee molto diverse, e che si stavano preparando a gestire la transizione post-Khamenei in modo soft”. Ora le proteste di queste settimane “offrono l’opportunità di un passaggio molto più rapido, ma anche molto più traumatico”, e uno scenario possibile è “un Iran in cui le proteste vengono salvate da componenti più vicine alle forze armate e che si trasforma di fatto in un presidenzialismo. Sarebbe una forma di autoritarismo, guidata da un presidenzialismo con forte impronta militare”. Ad alimentare “il sospetto che ci sia un tentativo di pilotarne l’esito per favorire la transizione tra prima e seconda generazione che potrebbe cambiare la fisionomia istituzionale del Paese”, secondo Pedde sono anche le modalità con cui vengono represse: perché se è vero che “la repressione della protesta c’è, indubbiamente, questa non è nemmeno lontanamente paragonabile a quanto abbiamo visto negli ultimi 10 anni”. ARMI ALLA RUSSIA Questa stessa polarizzazione spiega anche la postura che l’Iran sta assumendo nelle ultime settimane sulla scena internazionale, sostenendo militarmente la Russia nella guerra in Ucraina. Interpellato sui motivi che stanno portando Teheran a fornire armi a Mosca, Pedde ha spiegato che “la seconda generazione è convinta di poter puntare su alleanze forti con Cina e Russia e di rimodulare su questo l’impianto della visione strategica del Paese”, tanto da cominciare a “collocarsi in quello che chiama West Asia, e non più in Medio Oriente”. “Una idea costruita sulla forte disillusione, condivisa anche dalla prima generazione, riguardo al rapporto con l’Occidente”, ma che secondo l’analista è “frutto di un errore di calcolo”. “Una Russia in difficoltà, che ha bisogno di sostegno nella guerra, viene vista come la migliore delle occasioni possibili, contando a ottenere essenzialmente due cose – ha detto il direttore dell’Institute for Global Studies – forniture militari per ammodernare componenti di prima linea delle forza aerea iraniana, ormai vecchissima, e politiche comuni in campo energetico”. Ma proprio in quest’ultimo ambito, secondo Pedde, l’Iran avrà “la prima delle delusioni possibili”, perché “l’idea che Mosca possa sacrificare parte del proprio interesse economico nell’ambito di una cooperazione è altamente illusoria”, anche perché la Russia “non ha mai avuto la capacità di definire una piattaforma di reale cooperazione con l’Iran”. ACCORDO NUCLEARE Tale visione della collocazione internazionale dell’Iran, e il conseguente sostegno militare alla Russia, porta a rendere “più complesso e difficile” il rilancio dell’accordo nucleare del 2015, dopo che a fine agosto “si è arrivati vicino alla firma”. E se l’Unione europea è stato finora “l’unico soggetto che voleva portare avanti il negoziato”, con le sanzioni adottate due giorni fa da Bruxelles contro Teheran per la morte di Mahsa Amini e la repressione delle proteste, e con il rischio di ulteriori sanzioni per i droni alla Russia, “dubito fortemente che ci sia in questo momento la volontà di rilanciarlo”. Pedde ha tenuto a ricordare come “tanto in Iran quanto negli Usa ci siano due forze contrapposte, tra chi vuole e non vuole rilanciare” l’accordo, e non è da escludere, ha rimarcato, che “la volontà di fornire droni in Russia sia nata in seno a quelli che volevano boicottarlo”. ISRAELE Infine, alla domanda se il coinvolgimento dell’Iran nel teatro ucraino possa indurre Israele a rivedere la propria decisione di non fornire armi a Kiev, il direttore dell’Institute for Global Studies ha sottolineato come questa sia “una scelta difficile per Israele, alla luce del delicatissimo equilibrio della sicurezza di prossimità, che vuol dire Siria e Libano”. “La sicurezza di prossimità è la prima fascia di sicurezza, forse la più importante, per Israele – ha sottolineato – in Siria il mantenimento di questo equilibrio si può garantire solo in costanza di un rapporto con la Russia”. E se “è vero che c’è probabilmente qualcuno che sta cercando di farlo saltare, probabilmente all’interno dello stesso Iran attraverso questa forte pubblicità di cooperazione militare, dall’altra parte l’interesse dell’apparato di sicurezza di Israele è quello di mantenere la Siria in una condizione tale da non generare nuovi allarmi per la sicurezza del Paese. Sia per quanto riguarda le formazioni jihadiste, ma anche per quanto riguarda la capacità degli iraniani di controllare il territorio, soprattutto se i russi dovessero ridurre, come già stanno facendo, ulteriormente la loro presenza sul terreno”. (di Simona Salvi)