La storica: Carlo ha le idee chiare ma molte sfide sono esterne a monarchia

Valentina Villa: vuole regnare e non fare il tappabuchi

SET 15, 2022 -

Gb Roma, 15 set. (askanews) – Carlo III non ha alcuna intenzione di essere un sovrano di transizione, ha idee chiare sulla direzione in cui vuole portare la monarchia ma la corona dovrà affrontare delle sfide importanti legate in massima parte alle conseguenze della Brexit: lo ha spiegato ad Askanews Valentina Villa, ricercatrice in Storia delle Istituzioni Politiche presso l’Università Cattolica di Milano. Una prima incognita potrebbe essere tuttavia quella legata ad un monarca che – al contrario della madre quando salì al trono – ha un passato, anche ingombrante. “Il punto importante su cui porre l’accento è la differenza fra il monarca come istituzione e il monarca come persona, vale a dire il concetto del ‘doppio corpo’ del re sviluppata già secoli fa. Il problema di Carlo è che a differenza della madre è un re che ha vissuto e di questo – ne converranno anche i cittadini britannici – non si può fargliene una colpa. Anche in virtù di convenzioni di genere e culturali tipiche dell’epoca si è sposato molto giovane, ha fatto una scelta coniugale molto ‘pilotata’ dalla casa reale – non in realtà da Elisabetta in prima persona, ma per esempio dallo zio Lord Mountbatten e dal padre Filippo. Ha sbagliato? Sì probabilmente. Ha tradito, ha rilasciato quella tragica intervista in cui parlava delle sue vicende coniugali, c’è stato il problema delle intercettazioni telefoniche con Camilla in un periodo in cui era ancora legato a Diana. Credo che tutto ciò non verrà dimenticato o perdonato – non che Carlo debba chiedere il perdono dei cittadini – ma questa è una pagina nuova: da adesso Carlo ha veramente due corpi, il corpo del re e il suo corpo personale. Prima si è dovuto barcamenare nella difficile vita dell’erede al trono”. Ma riuscirà a interpretare lo stesso ruolo costituzionale di Elisabetta II? “Credo di sì. Anche in alcune interviste molto recenti ha esplicitato come egli stesso sia ben consapevole che in quanto monarca non si potrà più permettere certe libertà, anche in termini di opinioni e di espressioni, conosce bene quelle che sono le prerogative di un monarca”. Il suo quindi sarà un regno nel segno della continuità o della transizione verso un ruolo diverso della corona? “In questi giorni sono state fatte parecchie battute anche poco educate nei confronti del futuro regno di Carlo, visto come una transizione verso quello che sarà il futuro regno di William. Quindi un regno necessariamente breve, anche per ragioni anagrafiche del nuovo monarca. Io non credo però che Carlo si veda come un ‘tappabuchi’: egli stesso ha detto che regnerà fino alla morte, eliminando ogni possibile scenario di una sua abdicazione – un’idea lontanissima dalle tradizioni costituzionali britanniche. Credo invece che Carlo abbia delle idee molto chiare su come voglia indirizzare la monarchia e sarà una visione in continuità con ciò che ha fatto sua madre, ma con una forte spinta riformatrice per quanto riguarda la questione finanziaria e per quanto riguarda lo ‘snellimento’ della famiglia reale. Carlo – come tantissimi britannici – è stato molto infastidito dalle vicende recenti di suo fratello Andrea e dalla smania di protagonismo di alcuni membri della famiglia reale. È una questione in primo luogo economica, ma quando poi le spese vanno a sostenere persone che hanno problemi con le tasse, con la giustizia, questa spending review diventa fondamentale”. Quali sono le principali sfide che attendono il nuovo monarca? “Le sfide sono in un certo senso esterne alla monarchia e alla corona. Carlo si dedicherà a questa opera riformatrice della Casa reale ma ha però davanti a sé dei problemi molto gravi, che sono tutti effetto della Brexit: le spinte autonomiste dell’Irlanda del Nord e della Scozia, che sono state fortemente deluse dalle conseguenze del referendum sulla Brexit porteranno probabilmente nei prossimi anni a ridiscutere l’appartenenza al Regno Unito. Sul fronte del Commonwealth poi si dà come inevitabile l’allontanamento di alcuni Paesi dall’organizzazione, che deve capire che anima vuole avere negli anni a venire”. (Di Maurizio Ginocchi)