La yakuza giapponese in declino: boss condannato a morte

Gli "oyabun" sempre più considerati mandanti crimini affiliati

AGO 25, 2021 -

Giappone Roma, 25 ago. (askanews) – In un Giappone sempre più preoccupato dall’andamento dei contagi da Covid-19, oggi è accaduto un fatto importante che indica un cambiamento di approccio da parte della giustizia nei confronti del crimine organizzato, la cosiddetta ‘yakuza’. Un tribunale di Fukuoka ha condannato per la prima volta a morte un ‘oyabun’ (boss), il 74enne Satoru Nomura del gruppo yakuza Kudo-kai, uno dei più feroci del paese, per omicidio e per diverse altre aggressioni, sulla base del principio che i reati commessi dagli affiliati devono essere attribuiti ai capi. La sentenza rappresenta un momento importante in un processo che vede sempre meno agibile il terreno per la ‘yakuza’, una tipologia di crimine organizzato da sempre tollerata e, anzi, spesso operante in simbiosi con la politica e talvolta storicamente anche con le forze dell’ordine. ‘Avevo fatto appello a una decisione giusta. Si pentirà di questa sentenza per il resto della sua vita’, avrebbe urlato nei confronti del giudice il boss dopo che la condanna è stata pronunciata, secondo quanto scrive il giornale di Fukuoka Nishi Nippon shimbun. Le condanne nei confronti di Nomura sono relative all’uccisione nel 1998 di un ex capo di una cooperativa di pescatori, personalità influente in grado di avere voci in capitolo nei lavori di costruzione del porto della città nel Kyushu, l’isola meridionale delle quattro principali dell’Arcipelago. Inoltre avrebbe ordinato nel 2014 degli attacchi su un parente della vittima, oltre che nel 2013 contro un’infermiera di una clinica presso la quale il boss intendeva curarsi. Un ulteriore caso riguarda il ferimento nel 2012 di un ex agente di polizia che indagava contro la Kudo-kai. Per gli stessi delitti il numero due del gruppo, Fumio Tanoue, è stato condannato all’ergastolo. La yakuza, un fenomeno criminale che affonda le sue radici nel Giappone feudale, ebbe il suo grande boom nell’immediato dopoguerra, dapprima reprimendo le rivolte dei coreani che erano stati portati in Giappone durante il periodo coloniale, poi mettendo le mani su molti dei lavori della gigantesca ricostruzione. Nei decenni è riuscita a mantenere un rapporto proficuo con la politica e le forze dell’ordine, rappresentando una forma di ordine a se stante all’interno della parte oscura della società e dell’economia nipponica. Racket, prostituzione, gioco d’azzardo, ricatti, speculazioni immobiliari sono stati per decenni e sono le sue principali fonti di guadagno. E’ organizzata in diversi gruppi – il più numeroso dei quali è il cosiddetto Yamaguchi-gumi, seguito dal Sumiyoshi-kai – i suoi folkloristici rituali sono conosciuti in tutto il mondo anche grazie a una ricca cinematografia. Ma dietro l’aspetto colorato e bizzarro – fatto di splendidi tatuaggi e di dita mozzate – si nasconde un’organizzazione in grado d’influenzare la terza economia del mondo. Il Kudo-kai, in particolare, è considerato un gruppo particolarmente efferato che in passato non ha esitato ad attaccare a colpi di granata un club di Kitakyushu e di sparare a cittadini comuni, non appartenenti al mondo yakuza. Forse proprio la sua spregiudicatezza ha portato la polizia di Fukuoka a stringere la morsa attorno al gruppo, arrestando Nomura e il suo numero due nel 2014. Da allora la potenza del Kudo-kai è calata notevolmente – peraltro in una generale ‘crisi delle vocazioni’ in tutto il sistema yakuza giapponese – e nel 2020 il numero di affiliati, che aveva ampiamente superato quota mille in passato, è sceso a poche sparute centinaia. Non solo. Nomura ha anche dovuto subire lo smacco di vedersi accusato in tribunale da ex sottoposti, che sono apparsi come pentiti. Così l’assioma che scarica sui capi i crimini ha avuto la sua base delle testimonianze. E si tratta di un fatto importante, perché tradizionalmente uno dei compiti dei membri dei gruppi yakuza è quello di scontare le pene anche per i capi, negando che essi siano coinvolti nei crimini da loro commessi. Nomura, però, deve un po’ ringraziare un uomo che probabilmente conosce soltanto da televisioni e giornali, se è stato messo in lista d’attesa per il cappio. Un uomo che il cappio l’ha già apprezzato: il defunto capo della setta Aum Shinri-kyo, quella che mise il gas nervino nella metropolitana di Tokyo nel 1995, Chizuo Matsumoto (Shoko Asahara). Quando nel 2004 Matsumoto fu condannato a morte, anche grazie alla testimonianza degli adepti che confermarono di aver ricevuto da lui l’ordine di fare gli attentati, fu applicata una legge – Legge per la punizione del crimine organizzato – creata appunto dopo gli attentati al gas nervino. In base a essa i crimini prodotti all’interno di un’organizzazione criminale ricevono un aggravio di pena rispetto a quelli frutto di azione singola. Il segnale, insomma, che le autorità giapponesi non sono più tolleranti come un tempo rispetto alla mafia. Dopo questo fatto sono state numerose le sentenze basate sul principio che il crimine in ambito yakuza è attribuibile non solo al singolo, ma all’intera organizzazione e, nello specifico, a chi la guida. Un emendamento del 2008 alla norma, inoltre, asserisce che il boss è equiparato al datore di lavoro in ambito civile, per cui responsabile dei danni provocati dai suoi sottoposti. I colpi subiti dalla yakuza in questi anni stanno rendendo sempre meno attraente il suo mondo. L’Agenzia nazionale di polizia giapponese ha stimato che alla fine del 2020 il numero totale di affiliati alla yakuza era di 25.900, praticamente il 70 per cento in meno rispetto al 2010. Numeri comunque risibili, rispetto all’impressionante numero di 184mila dei primi anni ’60 del secolo scorso. Resistono blocchi importanti, come il Sumiyoshi-kai (Tokyo) con più di 4mila affiliati e l’Inagawa-kai (Tokyo). Ma il più numeroso clan continua a essere lo Yamaguchi-gumi con meno di 9.500 membri. Questo ultimo dato, però, non tiene conto di quanto avvenuto negli ultimi anni. Il venerando gruppo criminale, infatti, si è spezzato prima in due, poi in tre. Ad agosto 2015 si è sfilato un troncone del gruppo a Kobe, guidato da Kunio Inoue. Nonostante ci siano summit per cercare una riconciliazione, questa frattura non è mai stata sanata e il nuovo nato Kobe Yamaguchi-gumi ha portato oltre 2mila affiliati via dal gruppo principale. Come se non bastasse, nel 2017 anche il Kobe Yamaguchi-gumi ha subito una scissione ed è nato il Ninkyo Yamaguchi-gumi guidato Yoshinori Oda. Queste fibrillazioni e sommovimenti non sono stati pacifici e negli anni, pur con gli standard del sicuro Giappone, si sono verificati uccisioni, assalti, guerre di mafia. Oltre alla pressione giudiziaria, poi, dietro l’indebolimento della yakuza c’è anche una maggiore coscienza del problema da parte dell’opinione pubblica, sempre meno affascinata e sempre più intollerante verso la presenza fastidiosa degli yakuza. E’ capitato che si siano creati comitati di quartiere per opporsi alla presenza di uffici – perché i gruppi yakuza hanno uffici raggiungibili come normali aziende – nelle aree residenziali. C’è stata inoltre anche un’intelligente azione degli enti locali. Uno dei casi più famosi è proprio quello di Fukuoka, nel Kyushu, dove stato messo in piedi uno schema di incentivi economici per i mafiosi che vogliano abbandonare le gang. E non è probabilmente un caso che Nomura abbia visto testimoniare contro di lui suoi ex affiliati. L’altra faccia della medaglia, rispetto alle defezioni, è la perdita di autorità dei capi. La frammentazione in corso, con gruppi in rotta tra loro, rende meno efficaci le punizioni tradizionali, che un tempo avrebbero portato a morte certa. Il rito d’affiliazione implica che il novizio beva sake con l’oyabun, ricevendo la bevanda alcolica da lui (sakazuki). Questo rito crea un simbolico rapporto tra padre e figlio: quindi lasciare il gruppo vuol dire tradire il padre. Una scomunica – ‘zetsuen’ – vuol dire morte certa. Ma oggi c’è sempre la possibilità di trovare rifugio in un gruppo rivale, quindi l’autorità del padrino si è affievolita. Tutto questo quadro, però, non è visto da tutti necessariamente come un bene. Ci sono anche osservatori che temono una situazione nella quale le organizzazioni criminali entrino in una vera e propria clandestinità, diventando più elusive e crudeli. O anche che, dalla frammentazione dei clan, derivi un insieme di cani sciolti che sono notoriamente meno controllabili di gruppi organizzati.