Usa 2020, Trump propone rinvio voto, ma solo Congresso può decidere

Inoltre mandato presidente scade inderogabilmente il 20 gennaio 2021

LUG 30, 2020 -

Roma, 30 lug. (askanews) – Per la prima volta il presidente Usa Donald Trump ha lanciato apertamente su Twitter l’idea di rinviare le elezioni presidenziali e per il rinnovo di una parte del Congresso in programma il prossimo 3 novembre, con l’obiettivo a suo dire di scongiurare il rischio di brogli nel voto postale. Solo un espediente tattico per distogliere gli occhi dei media dal peggior calo del Pil Usa nel dopoguerra (meno 33% annunciato oggi) o una possibilità concreta? In realtà il presidente non ha alcun potere di decidere la data del voto, ne è possibile allungare arbitrariamente il suo mandato quadriennale. Vediamo perchè.

Una legge varata nel 1845 stipula che l’elezione del presidente degli Stati Uniti si tenga il martedì successivo al primo lunedì di novembre ogni quattro anni: il 3 novembre quest’anno. Serve un atto del Congresso, approvato sia dalla Camera, dove la maggioranza è dei democratici, sia del Senato, dove hanno la meglio i repubblicani, per cambiare questa disposizione. L’eventualità di un’intesa bipartisan per il rinvio del voto è estremamente improbabile.

Ma non solo: anche se la data del voto cambiasse, la costituzione Usa stabilisce che il mandato del presidente dura solo quattro anni. In altre parole, il primo mandato di Donald Trump scadrà a mezzogiorno ora di Washington del 20 gennaio 2021 qualunque cosa accada. Se rieletto governerà altri quattro anni, se sconfitto sarà sostituito dallo sfidante democratico Joe Biden. Ma un rinvio del voto non rinvierebbe la scadenza del mandato. Se entro il 20 gennaio non si fosse tenuto un voto, scatterebbe la linea di successione presidenziale. Trump dovrebbe essere sostituito dal suo vice Mike Pence, ma anche il mandato di quest’ultimo scadrà lo stesso giorno. Toccherebbe allora alla presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, il cui seggio però è in scadenza a dicembre. In questo scenario apocalittico si passerebbe quindi al senatore repubblicano dello Iowa Chuck Grassley, 86 anni, che presiede pro tempore il Senato, posto che il Senato sia ancora in mano ai repubblicani dopo la scadenza dei mandati di un terzo dei 100 senatori che lo compongono. Materia da thriller politico più che prosaica realtà.

Il rischio che il processo elettorale sia compromesso esiste, al di là del rinvio del voto. Ad esempio Trump o i governatori degli stati potrebbero usare i loro poteri speciali per chiudere i seggi, come ha spiegato alla Bbc il professore dell’università di California Irvine Richard L Hasen: è già accaduto questa primavera nelle primarie del Wisconsin. Se le chiusure dei seggi venissero decise a fini politici, cercando di danneggiare oppositori nelle loro roccaforti politiche ad esempio, il risultato del voto sarebbe inevitabilmente compromesso.

Hasen ha indicato anche un altro scenario, straordinario e assai improbabile. Le legislature statali potrebbero assumere il potere di determinare quale candidato vince nel loro stato, motivandolo con i timori per la pandemia. Non c’è alcun obbligo costituzionale che un stato sostenga il candidato che ha avuto più voti in quello stato, nè che si voti per le presidenziali in uno stato. Dipende tutto dal collegio elettorale, istituto arcaico che prevede che “grandi elettori” di ogni stato eleggano il presidente. In tempi normali i componenti del collegio elettorale sostengono chi ha vinto il voto popolare nel loro stato di appartenenza. Ma non sempre le cose funzionano così: nel 1800 ad esempio, vari parlamenti statali indicarono ai loro grandi elettori chi votare, in barba al voto popolare. Se ciò accadesse oggi peraltro ci sarebbe un rivolta di piazza, al netto di quarantene e distanziamento sociale.