Covid-19, l’impegno dell’italiana Soleterre in Africa con fondi Cei

"All'inizio era considerata una malattia dei bianchi"

GIU 25, 2020 -

Roma, 25 giu. (askanews) – “Una malattia dei bianchi, dei Paesi del Nord del mondo”: questa è stata la prima reazione al Covid-19 della popolazione dei paesi africani dove da anni opera la Fondazione italiana Soleterre con il suo Programma Salute, centrato soprattutto sull’oncologia pediatrica, che ha subito avviato campagne di sensibilizzazione non solo sulla pandemia di coronavirus, ma anche sulla necessità di rispettare il lockdown imposto dai governi locali. E’ quanto hanno raccontato i responsabili di Soleterre in Marocco, Burkina Faso, e Costa d’Avorio nel webinar tenuto oggi per presentare i progetti avviati nei tre paesi dell’Africa occidentale con il sostegno della Conferenza episcopale italiana (Cei).

La Fondazione Soleterre ha ricevuto circa 70.000 euro dei circa 9 milioni stanziati lo scorso maggio dalla Cei a sostegno di 581 progetti in 65 Paesi per fronteggiare l’emergenza Covid-19, temendo gli effetti che la malattia avrebbe potuto avere sui paesi più poveri del mondo alla luce di quanto accaduto in Italia. Dei complessivi 9 milioni, ha precisato Gian Battista Parigi, Direttore della Scuola di specializzazione di chirurgia pediatrica dell’Università di Pavia e membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della Cei, “circa 7,5 milioni sono andati a finanziare 381 interventi in ambito sanitario, il 73% dei quali in Africa, e 1,5 milioni per progetti di carattere formativo, i due terzi dei quali in Africa”.

I fondi ricevuti dalla Cei hanno permesso alla Fondazione “di implementare una strategia per il contrasto al coronavirus, che si è innestata al nostro Programma salute”, ha precisato Sonia Drioli, coordinatrice regionale dei programmi di sviluppo di Soleterre nell’Africa Occidentale. Per cui gli ospedali e i centri sanitari con cui la fondazione lavora da anni “hanno ricevuto finanziamenti in tempi rapidi per rispondere a una situazione mai vista prima”.

In Marocco, che secondo dati dell’Oms oggi conta oltre 10.000 casi e 214 morti, è stata subito avviata “una campagna di sensibilizzazione per far rispettare il lockdown” imposto dalle autorità alla fine di marzo per contenere la diffusione del Covid-19, in un Paese non abituato a “grandi ondate di malattie infettive”, ha raccontato la responsabile locale, Imane Benlekbir. Con i fondi Cei sono quindi stati effettuati acquisti diretti per l’ospedale di Rabat, con cui Soleterre gestisce da anni anche un portale per la formazione degli psicologi locali, con l’obiettivo di creare una rete transnazionale sull’oncologia pediatrica.

In Marocco, come in Costa D’Avorio e in Burkina Faso, la Fondazione si occupa infatti principalmente di bambini malati di cancro e delle loro famiglie, e proprio loro hanno risentito molto, soprattutto a livello psicologico, delle limitazioni di accesso alle cure durante il lockdown.

In Costa D’avorio, “all’inizio nessuno dava importanza al Covid-19, considerata la malattia dei bianchi, dei paesi del Nord”, ha raccontato il responsabile locale, Jean Marie Djessouan. Tuttavia, ha aggiunto, il governo ha imposto subito misure di lockdown, anche se “c’è stato un allentamento piuttosto rapido e i casi sono iniziati ad aumentare dopo la riapertura, e questo fa temere per il futuro”. Stando ai dati Oms, la Costa D’Avorio conta oggi 8.164 casi e 58 morti, e anche qui i fondi della Cei sono stati usati da Soleterre per gli acquisti di misure di protezione e aiuti sanitari per l’ospedale centrale di Abidjan e altri sei centri presenti nel Paese. Nel Paese la fondazione italiana opera in una casa di accoglienza per bambini malati di tumore e si occupa della formazione dei medici per favorire una diagnosi precoce dei tumori.

Anche in Burkina Faso, ha detto il responsabile Parfait Tiemtore, “il problema principale è stato convincere la popolazione dell’esistenza della malattia, e che poteva uccidere”, per cui si è cercato di “sensibilizzare soprattutto la popolazione delle zone rurali e delle periferie, contrastando anche le fake news che circolavano sui social media”. Oggi il paese conta 934 casi e 53 morti, ma si tratta, ha precisato Tiemtore, soprattutto di “casi importati, non ci sono focolai a livello comunitario” e con la “pronta reazione” delle istituzioni che “dopo il primo caso hanno chiuso confini, imposto il coprifuoco e il distanziamento sociale, abbiamo evitato per il momento il peggio”. In Burkina Faso, i problemi maggiori sono però stati causati proprio dal lockdown, perchè “la maggior parte della popolazione pratica il commercio, vive di quanto riesce a guadagnare ogni giorno”. Per questo “ha chiesto la riapertura, per non morire di fame”.

Tiemtore ha ricordato che il Burkina Faso ha “un sistema sanitario fragile, manca di infrastrutture e ha un costo elevato delle cure, soprattutto quando si parla di oncologia pediatrica, per questo “con la collaborazione di altri partner abbiamo acquistato una casa per accogliere i bambini malati di cancro, con le famiglie”, ha aggiunto Tiemtore, sottolineando come sia in aumento nel paese il numero dei casi oncologici pediatrici: “Se nel 2005 erano 10 ogni anno, oggi se ne contano 300 l’anno”.