Tsai a Pechino: siamo già un paese indipendente, Cina ci rispetti

Una dichiarazione che farà infuriare Pechino

GEN 15, 2020 -

Roma, 15 gen. (askanews) – Pechino prenda atto: Taiwan è “già un paese indipendente”. Questa la dichiarazione incendiaria rilasciata in un’intervista alla BBC dalla presidente rieletta Tsai Ing-wen, che non mancherà di pesare nei rapporti con la Cina popolare.

Dopo aver ottenuto il secondo mandato, con una vittoria schiacciante al termine di una campagna prevalentemente incentrata sui rapporti con Pechino, Tsai ha detto che la Cina deve “avere rispetto” e “affrontare la realtà”.

“Non abbiamo bisogno di dichiararci uno stato indipendente”, ha affermato Tsai. “Noi – ha proseguito – siamo già un paese indipendente e ci chiamiamo Repubblica di Cina, Taiwan”.

L’affermazione, sebbene sembri semplicemente fotografare un dato di fatto, è altamente esplosiva. Pechino infatti non riconosce Taiwan, nata dopo la guerra civile e la vittoria comunista nel continente dalla fuga dei nazionalisti di Chiang Kai-shek. Per la Repubblica popolare, Taiwan è parte integrante del suo territorio.

Tsai, con le sue frasi, mette in discussione il principio dell'”Unica Cina”, una formula diplomatica su cui Pechino e Washington hanno concordato anche sulla base di un’ambiguità di fondo su quale sia l'”unica Cina” di cui si parla.

“La situazione è cambiata”, ha ammonito Tsai. “L’ambiguità non può più servire agli scopi per i quali era stata prodotta”. E la colpa, secondo Tsai, è tutta di Pechino “perché in tre anni abbiamo visto la Cina intensificare le sue minacce…hanno navi militari e aerei che girano attorno all’isola”.

Nell’equazione di Tsai, poi, c’è anche la vicenda di Hong Kong: la pressione sull’autonomia dell’ex colonia britannica che ha portato, come reazione, a manifestazioni pro-democratiche represse dalle autorità. “La gente – ha spiegato Tsai – ha una percezione che la minaccia è reale e che diventa vieppiù grave”.

Insomma, le elezioni stravinte da Tsai sono state un messaggio chiarissimo a Pechino nell’interpretazione di Tsai. “Abbiamo una diversa identità e siamo un paese a parte. (…) Siamo una democrazia di successo, abbiamo un’economia abbastanza decente, meritiamo rispetto dalla Cina”.

Tsai, comunque, ha anche rivendicato il fatto di non aver spinto troppo, pronunciando una formale dichiarazione d’indipendenza, cambiando il nome al paese o la bandiera. Mantenendo, insomma, lo status quo. “Penso – ha sostenuto – che sia stato un gesto assai amichevole verso la Cina”.