Giappone: pescatori si riprendono dal mare dio “rapito” da tsunami

Nel mito fu abbandonato in una cesta di vimini, come Mosé

GEN 14, 2020 -

Roma, 14 gen. (askanews) – La storia si ripete, anche quando si tratta solo di leggende, di miti. Ma i miti, si sa, sono una parte importante di ogni cultura. Sommersi dalla modernità, a volte riemergono, come è riemersa una statua di Ebisu, il dio giapponese dei pescatori, che era stata trascinata via dal devastante tsunami del 2011 e che, è stata restituita dal mare oggi, in quello che è interpretato come un segnale di buon auspicio.

Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa giapponese Kyodo, la statua è alta un metro e mezzo. Era stata eretta nel 1988, per diventare un’attrazione turistica a Kesennuma, una località del Tohoku che fu distrutta dallo tsunami dell’11 marzo 2011. In un primo momento era stata individuata a novembre scorso, sotto l’acqua, ma poi i tentativi di rilevarla di nuovo erano falliti. Come se, dispettosamente, il dio si fosse spostato.

Ci sono voluti mesi per rintracciarla di nuovo e, una volta ritrovata a una decina di metri dal posto del primo avvistamento, è stata tirata su con una gru.

“Era un simbolo dei cittadini. Darà speranza a tutti”, ha commentato il sacerdote capo del santuario shintoista di Isuzu, che è proprietario della statua.

Si comprende meglio perché il recupero di questo Ebisu ha una sua importanza simbolica particolare, se si guarda alla storia di questo dio ciccione e benevolo, zoppo e semi-sordo.

Secondo il Kojiki, uno degli antichi testi dell’VIII secolo che ricostruiscono la cosmogonia giapponese, quello che in seguito sarà chiamato Ebisu nacque in realtà col nome Hiruko, il primo figlio della coppia divina creatrice formata da Izanagi e Izanami. A causa di un errore rituale nel loro matrimonio, però, Hiruko la creatura partorita era orribile: gelatinosa e senza ossa, sicché il nome assegnatole vuol dire “bambino sanguisuga” (e uno degli animali associati a Ebisu è non a caso la medusa).

La creatura fu di conseguenza buttata in mare dagli inorriditi genitori, abbandonata in un cesto di vimini alla deriva(con un’assonanza impressionante con altri miti diffusi in Occidente e in Oriente). La sua sorte sarebbe stata segnata, se non fosse approdata nel profondo Nord dove pescatori, probabilmente appartenenti a quella popolazione indigena che noi chiamiamo oggi Ainu, non l’avessero recuperata e non se ne fossero presi cura.

Così – secondo il mito – il bambino-sanguisuga riuscì a sopravvivere e, col passare del tempo, gli crebbero anche le ossa. Gli rimasero una zoppìa leggera (caratteristica, anche questa, rilevata in tante leggende in Oriente e in Occidente) e un deficit uditivo che gli impedisce, ogni anno, di udire la convocazione di tutte le divinità del pantheon shintoista al Grande Santuario di Izumo per il loro congresso.

Lungi dall’essere un dio rancoroso, che pure sarebbe stato giustificabile vista la maniera in cui era stato trattato, Ebisu è considerato un dio benevolo, uno dei Sette dei della fortuna. Protettore dei pescatori, gioviale e bevitore (la Sapporo gli ha dedicato una delle sue prelibate birre), sempre sorridente. Insomma un simbolo positivo per iniziare un anno, che in Giappone è considerato importante.