Europee, tra gli Spitzenkandidaten sale Timmermans, Weber nervoso: focus sul clima

Dibattito Tv in Eurovisione, socialista Timmermans il più brillante

MAG 16, 2019 -

Bruxelles, 16 mag. (askanews) – Un dibattito sorprendentemente interessante, molto civile e allo stesso tempo dinamico e vivace – anche grazie ai conduttori che hanno fatto rispettare rigorosamente i tempi di parola contingentati -, si è svolto ieri sera a Bruxelles fra i candidati capilista (‘Spitzenkandidaten’) delle ‘famiglie politiche’ europee, in vista delle elezioni dell’Europarlamento che si terranno dal 23 al 26 maggio nei 28 paesi membri dell’Ue, Regno Unito compreso.

Il dibattito, tenutosi per un’ora e mezzo al Parlamento europeo a Bruxelles e ritrasmesso in eurovisione, è stato diviso in tre parti: la prima su disoccupazione giovanile e immigrazione; la seconda su cambiamento climatico, ambiente, e tassazione delle imprese; la terza sul commercio internazionale e il rapporto tra l’Ue e gli Usa di Donald Trump, e poi sul populismo e sul ‘deficit democratico’ delle istituzioni europee.

Il confronto ha impegnato gli ‘Spitzenkandidaten’ di sei partiti o gruppi politici europei: Manfred Weber (tedesco) per il Ppe; Frans Timmermans, olandese, attualmente primo vicepresidente della Commissione europea, per i Socialisti e Democratici; Ska Keller (tedesca) per i Verdi; Jan Zahradil (ceco) per il gruppo dei Conservatori europei; Nico Cué (un sindacalista belga) per la Sinistra europea; e infine l’attuale commissaria Ue alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, per l’Alleanza dei liberaldemocratici europei (Alde).

Assenti, invece, i rappresentanti dei due gruppi a cui appartengono le due forze di governo in Italia, la Lega (che sta nel gruppo di estrema destra Enf) e il M5s (che siede nel gruppo euroscettico Efdd).

Dal punto di vista dell’eloquenza e della spigliatezza degli interventi e delle risposte negli scambi a due, che non sono mancati, il socialista Timmermans è apparso sempre più a suo agio, brillante, pieno di energia ed efficace.

Il popolare Weber, che teoricamente parte favorito per essere il candidato del gruppo politico tradizionalmente più forte, è apparso fino troppo costruito, nervoso e poco spontaneo; ripeteva formule da marketing (‘un nuovo inizio, una nuova era di ottimismo, una Commissione del popolo’) e non è sfuggito all’impressione che, nonostante le promesse di ‘ascoltare la gente’, incarnasse in realtà l’establishment che vuole solo conservare il potere. Le novità più importanti che ha annunciato, se diventasse presidente della Commissione, sarebbero le proposte (già avanzate dall’attuale Esecutivo Ue, con scarso successo fra gli Stati membri di attivare (se gli Stati membri lo accettassero) il meccanismo che consentirebbe di prendere decisioni a maggioranza qualificata in Consiglio su tassazione e politica estera, dove vige ancora la regola dell’unanimità.

Timmermans ha attaccato Weber ricordandogli che voleva ‘punire’ il Portogallo quando il governo di Lisbona, ribellandosi alle ricette delle politiche d’austerità che gli voleva imporre l’Eurogruppo, decise di sostenere l’economia invece di tagliare deficit e debito, e fece ripartire la crescita. Esponendo brevemente le priorità del suo programma, fortemente caratterizzato a sinistra, il vicepresidente della Commissione ha quindi affermato: ‘E’ tempo di imporre un salario minimo europeo e la parità fra uomini e donne, di combattere la violenza sulle donne, di difendere ovunque lo stato di diritto, e di mettere in cima alle priorità il clima e l’ambiente’.

La proposta di un salario minimo europeo, sostenuta anche da Cué, ha trovato subito l’opposizione del candidato Ppe: per Weber, quello che serve per il lavoro in Europa è invece ‘una buona politica economica, infrastrutture, ricerca e commercio insieme alla creazione di un mercato unico ancora più forte’.

Timmermans ha proposto poi un’aliquota minima del 18% del per l’imposizione alle imprese in tutta l’Ue, una tassa sul cherosene e una tassa sulle emissioni di CO2 da applicare a tutta l’economia europea, insieme a una coalizione progressista con la sinistra e i Verdi e ‘da Tsipras, fino a Macron’, per garantire che la lotta al cambiamento climatico sia in cima alle priorità della prossima Commissione. Il candidato socialista ha propugnato, infine, una estensione ai professionisti del programma Erasmus di scambio e mobilità degli studenti.

Vestager è apparsa all’inizio meno convincente di come è in genere nelle vesti di commissaria alla Concorrenza. Poi, però, ha acquisito più spigliatezza ed efficacia, in particolare, quando ha parlato di uno dei suoi soggetti preferiti: una giusta tassazione delle multinazionali, soprattutto per i giganti dell’economia digitale: ‘Ci sono imprese – ha ricordato – che pagano imposte pari non al 5 ma allo 0,05 per cento del loro fatturato annuale… E’ necessario stabilire un livello minimo per le tasse societarie in Europa, altrimenti ci sarà una competizione al ribasso’. E poi, menzionando i Paesi Ue che hanno ancora caratteristiche da ‘paradisi fiscali’ (Lussemburgo, Belgio, Olanda, Malta, Cipro) ha concluso con una felice battuta: ‘Per me, un paradisi fiscale é un luogo dove tutti pagano le tasse’.

La verde Ska Keller, che partiva da buone posizioni – data l’importanza che hanno assunto sui media negli ultimi mesi l’ambiente e la lotta al cambiamento climatico, tradizionali cavalli di battaglia dei Verdi – se l’è cavata, ma non ha brillato come ci si poteva aspettare.

Il capolista della Sinistra europeea (Gue), Nico Cué, l’unico che ha parlato in francese in un dibattito per il resto in inglese, ha perorato tutte le tradizionali richieste della Sinistra, soprattutto in tema di difesa e ripresa dei diritti e servizi sociali che le politiche europee hanno contribuito a comprimere, e ha accusato l’establishment di voler cambiare le cose ‘solo a parole’: ‘Noi chiediamo di cambiare totalmente strada, e solo la Sinistra può farlo davvero’, ha concluso.

Sul versante opposto, il conservartore Jan Zahradil ha interpretato al meglio il suo ruolo di unico candidato della destra sovranista presente al dibattito: ultraliberale su tutti i temi economici (lasciare la tassazione agli Stati, e l’economia ai mercati) ha prospettato un riequilibrio all’interno dell’Ue che la porti a ‘fare meno e meglio’, restituendo ai Paesi membri una parte dei troppi poteri oggi in mano alla Commissione, che deve smettere di ‘dare lezioni ai governi’. Zahradil ha propugnato insomma un’Europa ‘ridimensionata, flessibile e decentrata’ che non imponga nuove politiche ma si limiti a sostenere le politiche nazionali.

Zarhadil, inoltre, è stato l’unico a non sostenere l’obiettivo proposto dall’attuale Commissione europea di arrivare alla ‘neutralità carbonica’ (ridurre a zero le emissioni nette di CO2) nell’Ue entro il 2050, mentre Weber, pur accettando ‘l’obiettivo comune’ della decarbonizzazione, ha avvertito che comunque sarà necessario perseguirlo con gradualità e attenzione alla ‘sostenibilità’ per l’economia, per non danneggiare le imprese (soprattutto l’industria automobilistica) e per preservare i posti di lavoro.

Gli ‘Spitzenkandidaten’, in teoria, sono candidati alla presidenza della futura Commissione europea. La maggioranza del Parlamento europeo, guidata dal Ppe, vorrebbe dal Consiglio europeo (il vertice dei capi di Stato e di governo) la garanzia della designazione ‘automatica’ a candidato presidente della Commissione dello ‘spitzenkanidat’ capace di ottenere la maggioranza del consenso della nuova Assemblea appena eletta. Ma una buona parte dello stesso Consiglio europeo, con il presidente francese Emmanuel Macron in testa, non intende rinunciare al proprio potere di designazione autonomo, che è una prerogativa prevista chiaramente dal Trattato Ue.

Il fatto che la volta scorsa, cinque anni fa, sia stato effettivamente designato e poi eletto come presidente della Commissione il capolista del Ppe Jean-Claude Juncker, che aveva l’appoggio della maggioranza del Parlamento europeo, non significa, per una buona parte dei capi di Stato e di governo, che questa volta debba ripetersi quel meccanismo.

E’ piuttosto probabile, dunque, che nessuno dei ‘candidati’ presenti al dibattito di ieri sera verrà poi davvero designato dal Consiglio europeo, e poi eletto dall’Europarlamento, per succedere a Juncker alla presidenza della Commissione.