Spagna al voto, per Sanchez il rompicapo delle alleanze

Legislative il 28 aprile, probabile parlamento senza maggioranza

APR 19, 2019 -

Roma, 19 apr. (askanews) – Pedro Sanchez vincitore della battaglia elettorale, ma alle prese con una guerra politica che qualunque governo sembra poter solo perdere: questo, stando ai sondaggi a meno di dieci giorni dal voto, l’esito delle prossime politiche in Spagna, che con ogni probabilità il 28 aprile daranno di nuovo vita a un Parlamento senza maggioranza assoluta e dunque già con la necessità di risolvere il rompicapo delle alleanze.

Il dato che appare certo è che il Partito Socialista (Psoe) tornerà ad essere il primo partito: viene accreditato tra 118 e 126 deputati (il complicato sistema proporzionale spagnolo rende difficile tradurre le percentuali in seggi), oltre cinquanta sotto la maggioranza assoluta. Il conservatore Partido Popular (Pp) sarebbe relegato a un lontano secondo posto, fermandosi a un massimo di 86, davanti a Ciudadanos (51-53), alla sinistra di Unidos Podemos e confluenze (35-39) e l’esordiente ultradestra di Vox (18-28).

Sanchez si troverà dunque verosimilmente con due possibilità di formare un governo più o meno stabile e più o meno politicamente fattibile. La prima è un’alleanza con di Ciudadanos: il vantaggio principale è ovviamente numerico, dato che rappresenta la maggioranza con il minor numero di soci. Dal punto di vista politico tuttavia le difficoltà sono tante: pur approfittando di una componente di voto centrista, il Psoe si legherebbe di fatto a un partito di destra, neoliberista, anticatalano e che è impegnato attualmente in un braccio di ferro elettorale con Pp e Vox per chi esprime le posizioni più estreme.

Di fatto, Sanchez lascerebbe così la sinistra nelle mani di Podemos e rinuncerebbe a priori a qualsiasi soluzione politica del conflitto catalano per i prossimi quattro anni: un conto che il Psoe potrebbe pagare salato alla prossima tornata elettorale, quando una destra meno litigiosa potrebbe recuperare il voto moderato. Mentre la sinistra delusa potrebbe decidere di non fidarsi più della sua casa madre. Un meccanismo peraltro di cui sono già rimasti vittime non pochi partiti socialdemocratici europei.

L’alternativa è la riedizione della “maggioranza della mozione di censura”, ovvero una coalizione con Podemos e l’appoggio dei partiti nazionalisti e indipendentisti baschi e catalani: almeno 178 seggi, ma con tutti i problemi che Sanchez ha cercato invano di superare negli ultimi mesi. Nessuna possibilità di negoziare con i catalani senza che la destra lo accusi di tradimento, e quindi nessuna possibilità di fare concessioni ad un’area politica che non è disposta a fimargli un assegno in bianco. Tanto meno ora che i sondaggi danno una maggioranza delle destre come assai improbabile.

Il rischio che corre dunque la Spagna dopo il voto è quello di un’impasse che durerebbe fino alla prima legge di bilancio, quando baschi e catalani presenteranno il conto, economico i primi e politico i secondi: qualche mese fa il risultato è stata la crisi di governo. L’unica via di uscita in un simile scenario è quello di una difficile maggioranza anche in Senato (attualmente dominato dal Pp) che renda possibile delegare la soluzione del conflitto ad una riforma costituzionale, tutta peraltro da discutere: se gli spagnoli sono in maggioranza favorevoli a questo genere di soluzione, non esiste infatti alcun consenso sui contenuti.

La soluzione ideale per Sanchez sarebbe quella di una coalizione con il solo Podemos, che gli permetterebbe di presentarsi al proprio elettorato naturale come progressista e al tempo stesso moderatore delle politiche più estreme del socio agli occhi dei centristi. Ma l’aritmetica elettorale promette solo 161 seggi a questa possibilità, per cui servirebbe l’astensione – non certo gratuita – di baschi e catalani.

L’ultima possibilità, la più improbabile stando ai sondaggi, vede i tre partiti della destra imporsi alle urne ben al di là dei circa 165 seggi di cui viene accreditata: la presenza di Vox al governo peraltro potrebbe causare qualche difficoltà in chiave europea. Sebbene a giudicare dal tono della campagna elettorale, l’aggettivo “ultra” potrebbe essere ugualmente applicato a Pp e C’s: e non a caso l’ipotetica coalizione è stata battezzata ironicamente “trifachito”, ovvero più o meno “trifascio”.

Un esito che peraltro potrebbe definitivamente mettere in crisi il modello autonomico dello Stato sancito dalla Costituzione del 1978 e che renderebbe il conflitto catalano ingovernabile: ma il rischio è che dopo anni di assenza della politica e di delega della responsabilità alla magistratura (la sentenza del processo in corso ai leader indipendentisti sarà una delle eredità più che scomode del nuovo esecutivo, qualunque sia la sua composizione) l’ingovernabilità sia ormai da considerarsi un dato acquisito.